1980: il ritorno della guerra fredda
Il 1980 rappresenta una cesura storica molto importante sia per le evoluzioni del sistema politico internazionale, sia per la crisi e le trasformazioni che investirono, in particolare, l’Italia. Dopo una lunga fase caratterizzata da notevoli progressi sul piano della distensione dei rapporti tra Stati Uniti e Unione Sovietica, quale era stato il decennio degli anni ’70, si assistette, già a partire dalla fine del 1979, a un drammatico riacutizzarsi dello scontro bipolare. L’invasione sovietica dell’Afghanistan, cominciata nel dicembre 1979, e la “doppia decisione”, contemporaneamente presa dall’Alleanza Atlantica, di installare in Europa missili a medio raggio nella speranza che l’URSS ritirasse gli SS-20 puntati sull’Europa, sancirono il definitivo tramonto dei tentativi di distensione e un drammatico ritorno al clima politico e psicologico che aveva caratterizzato gli anni più duri della guerra fredda.
Nel 1980, tuttavia, il mondo appariva molto più complesso di quello che le griglie interpretative dicotomiche della guerra fredda potevano spiegare. Il Medio Oriente, in particolare, era attraversato da crisi e tensioni tali da renderlo uno scacchiere geopolitico in pieno fermento. Eventi di portata epocale, come gli accordi di Camp David tra Egitto e Israele (1978) e la rivoluzione khomeinista in Iran (1979), seguita dallo scoppio di quella che sarebbe stata una lunga e logorante guerra con l’Iraq (1980), andavano ridisegnando gli equilibri, inserendo elementi di instabilità in un’area storicamente strategica. Tra il 1979 e il 1980, la Libia di Gheddafi era intervenuta militarmente in Ciad in sostegno di un’organizzazione ribelle, contrastato dalla Francia che appoggiava invece il governo centrale del presidente François Tombalbaye.
Nel 1980, allo scoppiare di queste tensioni, l’Italia si trovava in un momento di grande incertezza degli equilibri politici interni. Le elezioni politiche del giugno 1979 avevano sancito il tramonto della stagione della solidarietà nazionale e portato alla formazione di un governo DC-PSDI presieduto da Francesco Cossiga, con ministri di area socialista e liberale. Per la prima volta nella storia repubblicana, però, la centralità del partito democristiano si trovava in declino, sia per il rinnovato attivismo politico del PSI di Bettino Craxi, determinato a scalzare la DC dal suo ruolo egemonico; sia per un più generale processo di modernizzazione e secolarizzazione che aveva effetti importanti anche sul piano del comportamento elettorale. La nuova riedizione dei governi di centro-sinistra, che avrebbe caratterizzato tutto il decennio, significò di fatto un’esclusione del PCI dall’area di governo. La decisione del governo italiano, presa già nel 1979, di installare sul suo suolo gli euromissili segnò da questo punto di vista un punto di non ritorno, marginalizzando sempre più i comunisti.
Tuttavia, sul piano della politica estera, il convinto allineamento atlantico del nuovo centro-sinistra non significò, per l’Italia, la rinuncia a svolgere il suo storico ruolo nel contesto mediterraneo. Nonostante la sua assoluta fedeltà atlantica, Roma rafforzò proprio negli anni ’80 i suoi rapporti economico-commerciali con la Libia di Gheddafi e con l’Iraq di Saddam Hussein, non senza creare risentimenti nell’alleato americano. L’impegno a dispiegare a Comiso gli euromissili permise di fatto all’Italia di mantenere un certo grado di autonomia all’interno della regione mediorientale, che si concretizzava, ad esempio, tramite la forniture nucleari all’Iraq e al permesso, concesso ai libici creando malumori in ambito NATO, di sorvolare lo spazio aereo italiano.
27 giugno 1980: l’abbattimento del DC-9 Itavia
La sera del 27 giugno 1980, un aereo civile modello DC-9 della compagnia Itavia, decollato da Bologna e diretto a Palermo con a bordo 77 passeggeri e 4 membri dell’equipaggio, sparì improvvisamente, all’altezza dell’isola di Ustica, dagli schermi di rilevamento radar del traffico aereo di Roma Ciampino, da dove gli operatori di volo ne stavano seguendo il regolare tragitto. Le ricerche dell’aereo proseguirono tutta la notte fino alle prime luci del mattino del 28 giugno, quando furono individuati i primi resti del velivolo. Le operazioni di soccorso portarono al recupero di alcuni rottami dell’aereo e dei corpi di 41 vittime su un totale di 81. Non vi fu nessun superstite.
Nelle ore notturne comprese tra la sparizione del DC-9, avvenuta intorno alle ore 21, e il suo avvistamento in mare, le stazioni radar di controllo del traffico aereo, gestite dall’Aeronautica Militare Italiana, furono impegnate in concitate ricerche del velivolo scomparso. Dalle indagini effettuate dalla Procura di Roma a partire dal 1990, è emersa l’evidenza di un’intensa attività di ricerca di informazioni circa le sorti del DC-9 Itavia. Diverse telefonate intercorse tra operatori delle stazioni radar di Ciampino e Martina Franca e ufficiali dell’Aeronautica Militare riportano della presenza in cielo di traffico aereo militare statunitense e della possibile presenza, nel mar Tirreno, di una portaerei. Fu contattata telefonicamente anche l’Ambasciata statunitense a Roma, dove – presumibilmente durante la stessa notte, o, secondo altre testimonianze, il giorno successivo – si tenne una riunione d’emergenza cui presero parte, stando a quanto ricostruito dalle indagini, rappresentanti dell’Ambasciata e delle autorità italiane. Non è stato tuttavia possibile risalire alle identità dei partecipanti italiani a tale riunione.
Le impressioni a caldo
Fin dai primi momenti, regnò incertezza sulle cause di quanto accaduto. I giornali dei giorni successivi parlarono di “disastro” dalle cause misteriose. Tra le possibili ragioni di quanto accaduto, la stampa prese in considerazione il cedimento strutturale, l’esplosione interna o esterna, la collisione in volo con un altro aereo, fino addirittura all’impatto con un meteorite.
Nonostante nelle settimane immediatamente successive al tragico evento non vi fosse ancora nessuna evidenza pubblica e ufficiale delle cause che lo avevano provocato, si andò accreditando presso l’opinione pubblica l’idea che il DC-9 fosse rimasto vittima di un guasto strutturale dovuto all’incuria della compagnia proprietaria.
La piccola Itavia era una delle prime compagnie aeree italiane interamente private a sfidare il sistema monopolistico del trasporto aereo nazionale. Già molto discussa negli anni ’70, e criticata soprattutto da alcuni sindacati e dal PCI per i suoi piani di privatizzazione, essa finì per diventare un vero e proprio “capro espiatorio” per quanto accaduto al DC-9 di Ustica. Nel dicembre 1980, a soli sei mesi dal disastro di Ustica, un decreto ministeriale revocò all’Itavia le concessioni di volo, sancendone di fatto la definitiva chiusura. Le proteste del suo presidente, Aldo Davanzali, secondo cui era “ormai comprovata l’assenza di qualsiasi responsabilità da parte della compagnia unitariamente alla certezza della distruzione ad opera di un missile di un aereo che percorreva un’aerovia riservata all’aviazione civile” (come egli ebbe a precisare in una lettera aperta al governo), suscitarono un intervento del magistrato inquirente, che indiziò l’uomo per il reato di diffusione di notizie esagerate e tendenziose.
L’ipotesi che il DC-9 fosse rimasto coinvolto in manovre militari d’attacco venne comunque presa in considerazione dalla stampa tra il 1980 e il 1986, soprattutto dalle inchieste pubblicate da Il Corriere della Sera a firma del cronista Andrea Purgatori.
A tali notizie, però, non seguì alcun tipo di reazione sul piano politico. Dopo la chiusura dell’Itavia, nel dicembre 1980, sulla vicenda di Ustica calò un lungo silenzio. Si dovette attendere il sesto anniversario della tragedia prima che la vicenda del DC-9 Itavia non solo tornasse ad essere tematizzata nell’ambito del dibattito pubblico italiano, ma che fosse anche affrontata in sede parlamentare e governativa. Il silenzio fu rotto dall’appello inviato al Presidente della Repubblica Cossiga da un Comitato per la verità su Ustica, formato da importanti personalità della politica (Francesco Bonifacio, Francesco Ferrarotti, Antonio Giolitti, Pietro Ingrao, Adriano Ossicini, Pietro Scoppola e Stefano Rodotà), che chiesero un intervento su una vicenda pressoché dimenticata e prossima all’archiviazione. A partire da quel momento, il Paese prese coscienza della mancanza di verità sulla strage di Ustica e iniziò a mobilitarsi anche la società civile, con la nascita nel 1988 dell’Associazione parenti delle vittime. A tale ritardo contribuì anche un lungo stallo delle indagini giudiziarie, che non seppero a lungo determinare con assoluta certezza le cause di quanto accaduto.
Le indagini
Sul disastro del DC-9 Itavia iniziò a indagare la Procura di Palermo, città dove l’aereo era atteso. Il sostituto procuratore Aldo Guarino mise in atto diversi provvedimenti mirati a chiarire le cause del disastro, tra cui la nomina di periti, ma fu presto costretto a interrompere le indagini e a trasferire il fascicolo alla Procura di Roma. A una settimana dalla strage, fu infatti stabilito, sulla base di un accordo tra Procure, che la competenza giurisdizionale per quanto avvenuto fosse da attribuire a Roma, dove aveva luogo l’hangar di immatricolazione del velivolo precipitato in acque internazionali.
L’istruttoria fu così affidata al sostituto procuratore Giorgio Santacroce, che alla fine del 1983 la formalizzò, secondo il codice di procedura penale vigente all’epoca, con la dicitura “per strage aviatoria”. Su alcuni resti dell’aereo, infatti, erano state trovate tracce di miscela esplosiva che giustificavano, sul piano giuridico, il ricorso al termine “strage”.
A partire dal 1984, subentrò alle indagini il giudice istruttore Vittorio Bucarelli che, constatando la mancanza di un collegio peritale, nominò un gruppo di esperti incaricandoli di stabilire la natura esatta dell’esplosione del DC-9. Durante i primi tre anni di istruttoria, infatti, gli accertamenti tecnici non erano stati affidati ad esperti vincolati al segreto istruttorio tramite giuramento peritale, bensì ai componenti di una commissione d’inchiesta nominata dal Ministero dei Trasporti, la Commissione Luzzatti e da tecnici dell’Aeronautica Militare.
Il collegio Blasi, dal nome del suo presidente, presentò la prima perizia solo nel marzo 1989, individuando nell’impatto con un missile l’esplosione del DC-9. Le analisi si basarono sia sulle registrazioni del radar di Ciampino, che mostrava la traccia di un secondo aereo, accanto a quella del DC-9, in manovra di attacco; sia sullo studio dei resti dell’aereo, recuperati dai fondali marini tra il 1987 e il 1988. Le registrazioni dei siti radar più vicini alla zona di Ustica, quelli di Marsala e Licola, risultarono distrutti o stranamente lacunosi.
Nel maggio 1990, tuttavia, due membri del collegio di esperti si dissociarono dalla perizia, propendendo per l’ipotesi dell’esplosione interna provocata da un ordigno. La mancanza di una verità condivisa tra i periti circa le cause della strage rischiò di portare alla definitiva archiviazione dell’istruttoria. Esito che fu impedito da un’inchiesta giornalistica, presentata in diretta televisiva nel corso della trasmissione Samarcanda, che rivelò l’esistenza delle registrazioni radar del sito di Poggio Ballone, sulle quali erano presenti tracce di altri aerei militari nei pressi del DC-9.
Nel luglio 1990, in seguito a un acceso diverbio con l’allora Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giuliano Amato, il giudice Bucarelli si dimise dalla conduzione dell’istruttoria. Al suo posto, venne nominato il giudice istruttore Rosario Priore, che concluse le indagini nel 1999.
Tra il 1990 e il 1999, le indagini apportarono numerosi elementi al piano della conoscenza dei fatti accaduti la notte del 27 giugno 1980. Il sequestro delle registrazioni delle telefonate effettuate la notte della strage tra le diverse stazioni radar, avvenuto nel 1991, rivelò la presenza di “traffico aereo militare intenso” nella zona del disastro. Nel gennaio 1992, il giudice Priore incriminò 13 alti ufficiali dell’Aeronautica Militare, tra cui quattro generali, per il reato di attentato contro gli organi costituzionali con l’aggravante dell’alto tradimento e della falsa testimonianza. “Omettendo di riferire alle autorità politiche e a quella giudiziaria le informazioni concernenti la possibile presenza di traffico militare statunitense – scrisse il giudice – l’ipotesi di un’esplosione coinvolgente il velivolo e i risultati delle analisi dei tracciati radar di Roma-Ciampino, abusando del proprio ufficio, fornivano alle autorità politiche informazioni errate”.
Nel 1996, il governo Prodi ottenne la collaborazione della NATO per la decifrazione di codici riservati indispensabili per la lettura di informazioni radaristiche. Sulla base dei nuovi elementi apportati così alle indagini, fu possibile una perizia radaristica secondo cui vi era sicuramente un intenso traffico aereo sul mar Tirreno al momento della strage di Ustica. Si giunse così, 18 anni dopo, alla chiusura dell’inchiesta giudiziaria.
Nel 1999, il giudice Priore rinviò a giudizio i generali Lamberto Bartolucci, Zeno Tascio, Corrado Melillo e Franco Ferri e altri cinque ufficiali per attentato contro gli organi costituzionali con l’aggravante dell’alto tradimento, mentre dichiarò di non doversi procedere per strage perché “ignoti gli autori del reato”. Secondo quanto concluso dalla sentenza ordinanza di rinvio a giudizio, il DC-9 Itavia era stato abbattuto nell’ambito di “un’azione militare di intercettamento”.
L’inchiesta giudiziaria sulla strage di Ustica è stata riaperta dalla Procura di Roma nel 2008, dopo la conclusione del processo sui depistaggi, in seguito alle dichiarazioni dell’ex Presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga, che in un’intervista a Sky Tg24 dichiarò che a lanciare il missile contro il DC-9 Itavia erano stati i francesi.
Nel 2010, nell’ambito della nuova inchiesta, il governo italiano ha inviato quattro rogatorie internazionali a Stati Uniti, Francia, Belgio e Germania. L’inchiesta è tuttora aperta e volta ad accertare le nazionalità degli aerei militari presenti nella zona di Ustica al momento dell’abbattimento del DC-9 Itavia, per individuare finalmente i responsabili per la morte delle 81 vittime.
I processi e le sentenze
Il processo sui presunti depistaggi si è aperto nel settembre 2000 davanti alla terza sezione della Corte d’Assise di Roma e si è concluso nel novembre 2004 con le assoluzioni dei generali dell’Aeronautica rinviati a giudizio. Nelle motivazioni della sentenza si legge che non riferendo al governo i risultati dell’analisi dei dati radar di Ciampino, né le informazioni in merito al possibile coinvolgimento nel disastro di altri aerei, i generali si macchiarono del reato di turbativa e non di alto tradimento (reato considerato prescritto in quanto derubricato). I giudici rilevarono inoltre nel comportamento degli imputati “una forte determinazione ad orientare nel senso voluto dallo Stato maggiore dell’Aeronautica le indagini a qualsiasi livello svolte su Ustica”. La sentenza è stata confermata in sede d’appello nel dicembre 2005, quando i generali vennero nuovamente assolti con la formula “perché il fatto non sussiste”.
Nel settembre 2011 la terza sezione civile del Tribunale di Palermo ha condannato i Ministeri della Difesa e dei Trasporti a risarcire i famigliari delle vittime della strage. Il Tribunale, ricostruendo i fatti accaduti la sera del 27 giugno 1980, ha ritenuto responsabili i Ministeri per non avere garantito la sicurezza del volo Itavia, ma anche per l’occultamento della verità, con depistaggi e distruzione di atti. Secondo la sentenza si può “ritenere provato che l’incidente occorso al DC-9 si sia verificato a causa di un intercettamento realizzato da parte di due caccia, che nella parte finale della rotta del DC-9 viaggiavano parallelamente ad esso, di un velivolo militare precedentemente nascostosi nella scia del D-C9 al fine di non essere rilevato dai radar, quale diretta conseguenza dell’esplosione di un missile lanciato dagli aerei inseguitori contro l’aereo nascosto oppure di una quasi collisione verificatasi tra l’aereo nascosto ed il DC-9”.
Il 22 ottobre 2013, nel disporre un nuovo processo d’appello per valutare la responsabilità dei ministeri della Difesa e dei Trasporti nel fallimento della compagnia Itavia, la terza sezione civile della Corte Suprema di Cassazione ha emesso una sentenza in cui conferma l’abbattimento del DC-9 da parte di un missile e gli avvenuti depistaggi delle indagini: “Ritiene questa Corte che elemento risolutore della controversia sia l’accertamento in fatto, operato nei pregressi gradi di merito e oramai non più suscettibile di essere rimesso in discussione, della sussistenza di un’attività di depistaggio. (...) Se depistaggio deve qui aversi per definitivamente accertato esservi stato, risulta oltretutto perfino irrilevante ricercare la causa effettiva del disastro, nonostante la tesi del missile sparato da aereo ignoto, la cui presenza sulla rotta del velivolo Itavia non era stata impedita dai Ministeri della Difesa e dei Trasporti, risulti ormai consacrata pure nella giurisprudenza di questa Corte”.
Le tesi interpretative e la verità storica
Nonostante le difficoltà dovute alla carenza di elementi probatori di cui l’inchiesta ha sofferto, soprattutto nei primi anni successivi al fatto, è stato possibile pervenire a significativi punti fermi circa le cause della strage di Ustica. È stato oramai accertato che, al momento della sua esplosione, il DC-9 Itavia si trovava al centro di uno scenario molto complesso, caratterizzato dalla presenza di diverse “attività volative”. Intenso traffico aereo fu rilevato nei cieli dell’Appennino tosco-emiliano, dove avvenne l’inserimento nella scia dell’aereo Itavia di un velivolo che riapparve più volte nel corso della rotta, oltre che l’apparizione di un intenso traffico aereo. Nel Tirreno meridionale si registra, invece, la presenza, pochi secondi dopo l’incidente e proprio sulla rotta del DC-9, di uno o due velivoli militari. In tale contesto, secondo la ricostruzione del giudice Priore, confermata in sede civile dalla Corte Suprema di Cassazione, la sera del 27 giugno 1980 si verificò “un’azione militare di intercettamento, con ogni verosimiglianza nei confronti dell’aereo nascosto nella scia del DC-9”. Secondo la maggior parte delle perizie, l’improvvisa esplosione del volo Itavia è stata causata da un attacco missilistico, anche se la nazionalità della testata resta ancora ignota.
La tesi del cedimento strutturale, sostenuta nel 1980 dall’Aeronautica Militare, non ha mai trovato alcun riscontro peritale, mentre l’ipotesi dell’esplosione interna provocata da una bomba a bordo fu ritenuta “tecnicamente sostenibile” da una perizia presentata nel 1994 dal collegio Misiti. Le conclusioni di tale perizia furono però giudicate “inutilizzabili” dai procuratori della Repubblica di Roma a causa dei tanti “vizi di carattere logico”, delle “molteplici contraddizioni e distorsioni del materiale probatorio” che essa presentava.
La vicenda di Ustica è da sempre stata caratterizzata da un doppio livello di responsabilità da accertare. Il primo si riferisce, come ovvio, agli autori materiali della strage e risente ancora oggi di un alto grado di opacità. Nonostante la collaborazione della NATO, infatti, la Procura di Roma non è ancora stata in grado di identificare la nazionalità degli aerei che circondavano il DC-9 poco prima della sua esplosione, né tantomeno l’origine del missile che ha abbattuto il volo Itavia.
Il secondo livello di responsabilità riguarda invece, come noto, il mancato accertamento delle cause del disastro aereo. Su questo aspetto ha lavorato a partire dal 1989 la Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo e le stragi, sia nella X che nella XIII Legislatura. Particolarmente dettagliata e significativa è la relazione conclusiva sul caso Ustica che la Commissione presieduta da Libero Gualtieri approvò nel 1992. In essa vennero sottolineate le responsabilità dei poteri pubblici e delle istituzioni militari “per aver trasformato una normale inchiesta sulla perdita di un aereo civile (…) in un insieme di menzogne, di reticenze, di deviazioni”. La Commissione stragi mise in luce le attività di “depistaggio delle indagini” e di “ostacolamento dei vari organi inquirenti” messe in atto da numerosi altri ufficiali dell’Aeronautica Militare e dei Servizi. Sin dai giorni immediatamente successivi all’incidente, infatti, l’Aeronautica, pur avendo a disposizione informazioni che avrebbero potuto indirizzare le indagini verso l’ipotesi del missile, privilegiò presso il governo e la magistratura inquirente la tesi del cedimento strutturale. Secondo la Commissione, tale comportamento ebbe l’effetto non solo di depistare l’inchiesta, determinando l’oscuramento di altri possibili filoni di indagine, ma anche di provocarne la sostanziale sospensione. Allo stesso modo, fu rilevata una “grave carenza di interventi da parte dei vertici istituzionali” protrattasi per molti anni.
Memorie e letture contemporanee
Dalla sua nascita, l’Associazione parenti delle vittime si è affermata come il principale soggetto promotore delle iniziative pubbliche sulla strage di Ustica. Dalle commemorazioni alle rassegne teatrali, dai convegni ai percorsi per le scuole: le attività si differenziano e formano un ricco patrimonio storico-culturale esplorabile attraverso l’archivio dell’Associazione, i cui fondi sono liberamente consultabili e conservati presso l’Istituto Storico Parri Emilia Romagna, a Bologna (qui un approfondimento testo e video). Sul portale www.cittadegliarchivi.it è possibile non solo accedere all’inventario digitalizzato, ma anche visionare direttamente alcuni dei documenti conservati attraverso percorsi multimediali che permettono a chiunque di avvicinarsi alla storia della vicenda di Ustica: un percorso documentario attraverso le fotografie contenute nell’archivio, una mostra virtuale delle vignette pubblicate in 35 anni dai giornali italiani sulla vicenda di Ustica, un percorso iconografico attraverso i manifesti prodotti dall’Associazione.
Dal 2007, le attività dell’Associazione hanno come riferimento principale il Museo per la Memoria di Ustica, a Bologna. Inaugurato in occasione del ventisettesimo anniversario della strage, esso conserva i resti del DC-9 Itavia, recuperati, trasportati e riassemblati negli spazi degli ex magazzini ATC. All'artista francese Christian Boltanski è stato affidato dalla città il compito di realizzare un'installazione permanente dal titolo A proposito di Ustica.
Qui il tour virtuale all’interno dell’installazione di Christian Boltanski; qui il breve video-doc sulla storia del Museo Era nato per volare.
Presso il Museo per la memoria di Ustica si svolge gran parte delle attività rivolte alle scuole e gestite direttamente dall’Associazione. Per la scuola secondaria di I e II grado vengono organizzate visite guidate al Museo, finalizzate alla conoscenza della vicenda di Ustica e del suo contesto storico, così come al tema della memoria e della capacità dell’arte di condurre a una riflessione critica sulla società di oggi. Sono inoltre organizzate attività laboratoriali che consentono ai ragazzi delle scuole di rielaborare l’esperienza soggettiva vissuta all’interno del Museo attraverso il coinvolgimento in un dialogo attivo o la realizzazione di una performance collettiva sui temi della storia e della memoria.
Recentemente, l’Associazione si è impegnata nel promuovere la conoscenza storica della vicenda di Ustica e ha organizzato nell’ottobre 2015, in collaborazione con l’Istituto Storico Parri, un convengo di studi storici dal titolo 1980. L’anno di Ustica, per riflettere sui contesti, nazionale e internazionale, che hanno fatto da sfondo alla tragedia del DC-9 Itavia.
Qui la sinopsi del convegno; qui il programma.
La vicenda di Ustica ha negli anni incuriosito e sollecitato numerosi artisti. Tra le opere prodotte si segnalano il film Il muro di gomma di Marco Risi (1991) e lo spettacolo teatrale I-TIGI. Canto per Ustica di Marco Paolini (2001).