L'Emilia-Romagna di fronte alla violenza politica e al terrorismo:
storia, didattica, memoria

Studi di caso
L'omicidio di Adriano Salvini

di Federico Morgagni

L'omicidio di Adriano Salvini

Introduzione

 

Adriano Salvini (primo a sinistra, con il giubbetto chiaro) alla manifestazione antifascista tenutasi a Faenza il 23 ottobre il 1972 contro gli attentati ai treni speciali delle Organizzazioni sindacali diretti a Reggio Calabria- AAVV, Adriano Salvini: atti della Giornata di studi promossa nel 40. della morte. Faenza, Sala dei Cento pacifici, Ridotto del Teatro comunale  A. Masini, 23 novembre 13, Faenza, I Quaderni dell'A.N.P.I., 2014, p. 1.
Adriano Salvini (primo a sinistra, con il giubbetto chiaro) alla manifestazione antifascista tenutasi a Faenza il 23 ottobre il 1972 contro gli attentati ai treni speciali delle Organizzazioni sindacali diretti a Reggio Calabria- AAVV, Adriano Salvini: atti della Giornata di studi promossa nel 40. della morte. Faenza, Sala dei Cento pacifici, Ridotto del Teatro comunale  A. Masini, 23 novembre 13, Faenza, I Quaderni dell'A.N.P.I., 2014, p. 1.
La sera del 7 luglio 1973 Daniele Ortelli, un giovane teppista faentino di simpatie neofasciste, provoca e poi aggredisce selvaggiamente alcuni avventori del bar “Città”, situato nella centrale piazza Martiri della Libertà. Lasciato il locale, l’Ortelli corre per strada colpendo le auto in sosta fino ad imbattersi in Adriano Salvini, un bracciante di quarantuno anni che si trovava in un altro bar della zona con alcuni amici. Forse in risposta ad un rimprovero mossogli da Salvini, Ortelli lo aggredisce ferocemente, finendo per ucciderlo a colpi di pugni.
L’orrendo delitto suscita forte sdegno ed emozione nella città di Faenza e viene subito interpretato dalle forze politiche antifasciste, e da larga parte della cittadinanza, come qualcosa di ben diverso da una drammatica casualità, da un episodio generato dalla furia incontrollabile e omicida di un individuo violento e eccitato dai fumi dell’alcool.
Daniele Ortelli è infatti un membro conosciuto di una squadra di giovani picchiatori fascisti che ruotano attorno alla locale sezione del Fronte della Gioventù e che, nel biennio precedente, hanno messo in atto diversi pestaggi, aggressioni e intimidazioni suscitando la preoccupazione e le ripetute denunce – rimaste però inascoltate - del Comitato unitario permanente antifascista di Faenza.
Se parte della stampa e dell’opinione pubblica più moderata si attestano su una interpretazione del fatto come un evento drammatico e orribile, ma racchiuso in sé stesso; molti altri lo leggono come l’ultima catena di una lunga sequela di violenze messe in atto da questo gruppo di estremisti e avanzano interrogativi sulle ragioni che hanno permesso loro di agire lungamente indisturbati, sulla rete di sostegni occulti che si ritiene abbiano goduto e sulle ragioni del loro operato in una città che stava conoscendo una stagione di tensioni sociali ed economiche e nella quale sembrava si fosse alla vigilia di un mutamento di consolidati equilibri politici.

Il contesto storico nazionale e locale

 

L’omicidio Salvini si verifica in una stagione particolarmente complessa della storia dell’Italia repubblicana e, più specificamente, nel corso di un anno difficile come è il 1973, durante il quale la Penisola conosce una forte inquietudine sociale e politica, con tangibili pericoli di tenuta delle istituzioni democratiche.
Appena pochi anni prima, fra il 1968 e il 1969, l’Italia è stata attraversata dalla più grande ondata di conflittualità popolare della sua storia, accesa dai grandi movimenti di lotta degli studenti e dei lavoratori. Ordinamenti costituiti, arretratezze e arcaismi, ingiustizie e storture, accettati come immutabili per decenni, sono state repentinamente messi in discussione o, addirittura, in crisi.
In particolare, è il movimento operaio a strappare importanti conquiste normative e salariali, mentre in Parlamento sono approvate alcune riforme sociali, che vanno a migliorare fondamentali aspetti del sistema di welfare (pensioni, sanità, tutela della maternità) e assicurano una maggiore tutela dei diritti del lavoro (“Statuto dei lavoratori”). Dalle lotte delle fabbriche prende vita anche un entusiasmante ma contrastato tentativo di superare la divisione fra le organizzazioni sindacali per arrivare alla costituzione di un Sindacato unitario. Benché le enormi resistenze riscontrate impediscano di portare a termine questo disegno, la formazione, nel 1972, della Federazione CGIL-CISL-UIL, sotto forma di unione paritetica, suggella il nuovo status di forza e autorevolezza raggiunto dal mondo organizzato del lavoro.

Filmato sull'Autunno Caldo (da secondo 00.01 a secondo 00.37) - tratto dal Programma Rai Storia Accadde Oggi -11 settembre 1969 Comincia l'Autunno Caldo

Prima pagina de “L'Unità” dell'11 settembre 1969
Prima pagina de “L'Unità” dell'11 settembre 1969

Il mutamento degli equilibri in corso nel Paese provoca, tuttavia, una dura reazione da parte di importanti settori politici ed economici, schierati su posizioni conservatrici o finanche reazionarie, i quali si mobilitano con ogni mezzo per arginare la domanda di cambiamento emergente.
Una reazione che, nelle sue forme più estreme, assume il volto della cosiddetta "Strategia della tensione”, fatta di trame eversive, stragi e oscuri tentativi di Colpo di Stato, materialmente portati avanti dalle forze dell'estrema destra neofascista sostenute, coperte e talvolta manovrate da componenti deviate dei servizi segreti, dei corpi militari e degli apparati di sicurezza. Il fine di questo disegno è sovvertire l'ordinamento costituzionale del Paese, preparando il terreno per una svolta autoritaria, di stampo militarista o quantomeno ultra-presidenzialista.
La risultante sarà espressa da una stagione di feroci atti criminali, aperta dalla Strage di piazza Fontana, che si verifica il 12 dicembre 1969 quando l’esplosione di una bomba alla Banca Nazionale dell’Agricoltura di Milano provoca 16 morti e decine di feriti. Seguiranno, negli anni successivi, numerosi altri attentati: la strage di Gioia Tauro del 1970, quella di Peteano del 1972, la bomba alla Questura di Milano proprio nel 1973. Ma oltre alle bombe vi è tutto un succedersi di depistaggi, di manovre provocatorie sempre rimaste oscure, di misteriosi tentativi complottisti, che confermano come l'estremismo di destra goda appoggi da parte di forze eversive ben addentro gli apparati dello Stato e certi servizi segreti stranieri, oltreché del benevole incoraggiamento da parte di alcuni ambienti del mondo politico. [Reportage dell'Istituto Luce sulla strage di Piazza Fontana - tratto dall'Archivio digitale dell'Istituto Luce, https://www.archivioluce.com/2019/12/12/piazza-fontana-una-bomba-la-strategia-della-tensione/]

Prima pagina de “Il Corriere della Sera” del 13 dicembre 1969
Prima pagina de “Il Corriere della Sera” del 13 dicembre 1969

Si registra inoltre una intensificazione dall'attività di natura squadrista, condotta in molte città da gruppi e gruppuscoli neofascisti, talvolta autonomi e avulsi da veri propri indirizzi organizzativi, altre volte rispondenti a disegni di più ampia portata. Proprio alla fine del 1973, questo clima minaccioso, unito all’impressione provocata dal golpe cileno, spingerà il segretario del PCI Enrico Berlinguer a scrivere i famosi articoli su “Rinascita” che - superando le storiche pregiudiziali ideologiche tra comunisti e democristiani - delineavano l'ipotesi di un patto tra le grandi forze politiche costituzionali allo scopo di tutelare l'ordinamento repubblicano e condurre il Paese lungo una strada di rinnovamento democratico. E’ il cosiddetto Compromesso storico.
Sul versante politico-istituzionale, le tensioni fra le varie forze che costituiscono gli esecutivi di centro-sinistra, conducono al progressivo esaurimento di questa formula politica, del resto incapace di guidare una trasformazione riformatrice del Paese. Nel 1972, per la prima volta, si giunge allo scioglimento anticipato delle Camere e ad elezioni prima della scadenza naturale della legislatura. Dalle urne esce un risultato che conferma la paura di alcuni settori della società per le spinte sociali in corso: mentre Dc e Pci rimangono sostanzialmente stabili, quasi raddoppia il numero dei suffragi per l'Msi, che sfiora il 9%. In conseguenza dei nuovi equilibri, dopo lunghissime trattative viene costituito un esecutivo di centro-destra, formato da DC e PLI e presieduto da Giulio Andreotti.

Milano, maggio 1972, striscioni per la campagna elettorale delle elezioni politiche del 9 maggio 1972-tratto da “La Domenica del Corriere” del 9 maggio 1972.
Milano, maggio 1972, striscioni per la campagna elettorale delle elezioni politiche del 9 maggio 1972-tratto da “La Domenica del Corriere” del 9 maggio 1972.
Prima pagina de “Il Secolo d'Italia” dell'11 maggio 1972
Prima pagina de “Il Secolo d'Italia” dell'11 maggio 1972
Se il quadro politico e sociale è segnato da crisi e tensioni, non migliore è la situazione sul versante economico. L'Italia soffre soprattutto per la crescente instabilità dei mercati internazionali successiva all’abbandono, nel 1971, degli accordi di Bretton Woods. La penisola è particolarmente penalizzata sia per la debolezza della propria valuta nazionale, che per un sistema produttivo fortemente sbilanciato verso le esportazioni. Nel 1973 la situazione degenera: il 14 giugno, il cosiddetto “giovedì nero”, la lira si svaluta del 22%, mentre a fine anno lo shock petrolifero esacerberà ulteriormente la crisi, innescando una spirale di continua rincorsa fra prezzi e salari, che sfocerà in recessione ed inflazione in doppia cifra (fenomeno tecnicamente definito come stagflazione).

Le risposte del sistema politico sono deboli: il governo Andreotti finisce per decretare l'uscita dell'Italia dal serpente monetario europeo (SME), una intesa che regolava le fluttuazioni nei cambi fra le valute dei paesi del Vecchio Continente, dimostrandosi per il resto incapace di contenere il precipitare degli eventi economici.
La crisi porta con sé una nuova impennata della conflittualità sociale. I lavoratori da una parte lottano in difesa dell’occupazione e contro i progetti di delocalizzazione e ristrutturazione produttiva, dall’altra si impegnano per strappare nuove tutele e miglioramenti. Il 1973, anche a seguito delle vertenze per i rinnovi contrattuali di importanti categorie dell’industria, è per questo, dopo il 1969, una delle annate più calde della storia repubblicana.

Frattanto, incapace di arginare la crisi economica e di rispondere alle rivendicazioni sospinte dalla conflittualità sociale, dopo poco più di un anno tramonta l'esperienza del governo di centro-destra. Il congresso della DC archivia questo spostamento conservatorista e apre la via ad un nuovo esecutivo con i socialisti presieduto da Mariano Rumor, che entra in carica proprio il 7 luglio 1973.

Presidio degli operai ai cancelli dello stabilimento FIAT-Mirafiori, marzo 1973
Presidio degli operai ai cancelli dello stabilimento FIAT-Mirafiori, marzo 1973

[Prima pagina di “Lotta Continua” del 10 marzo 1973- tratto dall'Archivio storico di Lotta continua raccolto dalla Fondazione Erri De Luca]

Se la situazione a livello nazionale è tesa, il 1973 è un anno difficile anche per la città di Faenza, nella quale l’intrecciarsi di una serie di fenomeni di più ampia prospettiva fa ormai presagire l’imminenza di importanti trasformazioni destinate, di lì a poco, a mutare un panorama politico ed economico che sembrava consolidato.

Sul versante politico, Faenza si era caratterizzata fin dall’immediato dopoguerra come “l'isola bianca”, a prevalenza democristiana all'interno della “rossa” provincia di Ravenna. Il PCI era sempre rimasto confinato all’opposizione, prima in compagnia del PSI poi, dopo la costituzione delle alleanze di centro-sinistra, in solitudine. Tuttavia, nei primi anni ’70, il predominio democristiano aveva cominciato ad essere messo in discussione e la distanza, in termini di consensi, fra lo Scudo crociato e i comunisti si era notevolmente ridotta. In conseguenza di ciò, si erano assottigliate anche le maggioranze sulle quali, in Consiglio comunale, potevano reggersi le Amministrazioni di centro sinistra, la cui azione di governo si era fatta sempre più contrastata.
Nel 1972, infatti, una grave crisi politica aveva posto fine all’esperienza del centro-sinistra a Faenza: a scatenarla, dei contrasti interni alla Giunta sull’ipotesi di concedere la sala comunale “Dante” al MSI per una conferenza sull'agricoltura. Soprattutto da parte socialista si era sottolineato come la concessione rappresentasse una sorta di sdoganamento del partito neofascista, con conseguente concessione della agibilità politica in città; un porsi di traverso che però non aveva sortito effetto, tanto che la conferenza veniva infine autorizzata. In risposta PCI, PSI, PSIUP, PRI e ANPI avevano emesso un manifesto congiunto definendo l'iniziativa missina una provocazione e invitando la cittadinanza a dimostrare il proprio spirito democratico e antifascista. Protetti da un imponente cordone di Polizia, una trentina di neofascisti avevano infine preso parte all'iniziativa mentre, all'esterno della sala, la piazza era stata presidiata per l'intera serata da centinaia di cittadini  in contestazione e vigilanza. Per ulteriore protesta, i socialisti avevano anche abbandonato la maggioranza, provocando le dimissioni del Sindaco DC Assirelli. Solo dopo lunghe trattative si era potuto dar vita ad una nuova Giunta comprendente DC e PRI, con Angelo Gallegati come primo cittadino.

Dopo la fine delle alleanze di centro-sinistra, il 1973 avrebbe segnato anche il primo storico sorpasso del PCI sulla DC alle elezioni provinciali tenutesi nel novembre di quello stesso anno. La strada era ormai aperta per la costituzione della prima Amministrazione “rossa” della storia di Faenza, che in effetti si sarebbe insediata dopo le elezioni comunali del 1975.

Veniero Lombardi, primo Sindaco comunista della storia di Faenza eletto nel 1975
Veniero Lombardi, primo Sindaco comunista della storia di Faenza eletto nel 1975
“Il Resto del Carlino-Faenza” 11 febbraio 1972, articolo sulla crisi della Giunta di centrosinistra in seguito alla concessione di una sala comunale per una iniziativa dell'MSI sull'agricoltura
“Il Resto del Carlino-Faenza” 11 febbraio 1972, articolo sulla crisi della Giunta di centrosinistra in seguito alla concessione di una sala comunale per una iniziativa dell'MSI sull'agricoltura
Se la situazione politica è segnata da una elevata tensione che prelude una trasformazione di ampia portata, lo stesso si può dire per quella sociale ed economica, delle ristrutturazioni aziendali, delle “gestioni degli esuberi”, della difesa dai mutamenti dei processi produttivi e dalle prime ondate di delocalizzazioni. Ma rispetto alla media nazionale, l’impatto di questi fenomeni e l’impressione da essi suscitata è acuita dal fatto che ad entrare in crisi è addirittura la fabbrica cittadina per eccellenza, ossia il calzificio OMSA, allora forte di oltre 1000 dipendenti. Fin dalla sua fondazione, e poi in particolare dopo il decollo produttivo e occupazionale degli anni '50, la OMSA era stata la manifattura più moderna, caratterizzata dall’adozione dei più innovativi processi produttivi: quella dove si combattevano le vertenze sindacali che calamitavano su di sé la maggiore attenzione e il cui esito dava il tono alle agitazioni anche nelle altre ditte. Inoltre la OMSA, fabbrica che occupava fino ad un 70% di manodopera femminile, era divenuta il principale collettore dell’occupazione extra-domestica per le donne di tutto il comprensorio faentino. Sin dalla primavera del 1972, la direzione aziendale aveva lamentato difficoltà economiche e produttive e preannunciato la necessità di porre parte dei lavoratori in cassa integrazione temporanea. Tali annunci avevano suscitato un grande allarme fra le forze politiche e sociali della città e la preoccupazione era cresciuta quando, progressivamente, si era fatto evidente come la OMSA non andasse riprendendosi ma semmai entrando in una crisi sempre più acuta, con nuove e sempre più ampie sospensioni dal lavoro delle maestranze. All'inizio del 1973, con circa 750 lavoratori in cassa integrazione, ormai tutta la città è coinvolta nella lotta e nella mobilitazione contro la crisi. Il 12 gennaio a Faenza è sciopero generale per l'occupazione e le riforme, il 23 si svolge una grande assemblea promossa dal comitato comprensoriale sui problemi del lavoro.
Questa prima fase di lotta culmina il 22 marzo, con un nuovo grande sciopero generale che, in una delle più partecipate manifestazioni della storia di Faenza, porta in piazza oltre 15.000 persone a sostegno dei lavoratori della OMSA, mentre anche le attività commerciali abbassavano le saracinesche, in solidarietà e anche nella consapevolezza del danno per l'intera comunità di quella perdita di posti di lavoro. Ciononostante, pochi giorni dopo arriva la notizia della intenzione della proprietà di licenziare 257 lavoratori. Gli operai, da settimane accampati in una piccola baracca davanti alla fabbrica, occupano la OMSA, mantenendo il presidio per oltre due mesi, scanditi peraltro da altre grandi dimostrazioni in tutta la città. Alla fine si giungerà ad un compromesso, che se sancirà l'allontanamento dal lavoro dei 257 dipendenti, assicurerà loro ammortizzatori sociali in grado di accompagnarli nella ricerca di nuovi impieghi. Quanto resta della fabbrica conoscer, invece, ulteriori contorcimenti provocati dalla crisi del gruppo Mangelli, risolta solo a fine decennio con il passaggio della proprietà alla Golden Lady.
Manifestazione unitaria a sostegno della mobilitazione dei lavoratori e delle lavoratrici OMSA del 22 marzo 1973, comizio conclusivo in Piazza del Popolo a Faenza- Angelo Emiliani, Una causa giusta. La Camera del Lavoro di Faenza 1945-1995, Faenza, Tipografia faentina Casanova, 2008, p. 169.
Manifestazione unitaria a sostegno della mobilitazione dei lavoratori e delle lavoratrici OMSA del 22 marzo 1973, comizio conclusivo in Piazza del Popolo a Faenza- Angelo Emiliani, Una causa giusta. La Camera del Lavoro di Faenza 1945-1995, Faenza, Tipografia faentina Casanova, 2008, p. 169.
Prima pagina de “Il Progresso”, organo del PCI di Faenza, del  28 marzo 1973, in merito alla manifestazione unitaria per la OMSA del 22 marzo 1973.
Prima pagina de “Il Progresso”, organo del PCI di Faenza, del  28 marzo 1973, in merito alla manifestazione unitaria per la OMSA del 22 marzo 1973.
Il 1973 di Faenza è dunque un anno peculiare, in cui la crisi economica mette in discussione la supremazia della industria simbolo della città e lo stesso modello di sviluppo produttivo “fordista” che essa simbolicamente rappresenta, mentre il dinamismo delle piccole e medie aziende (di comparti come l’industria alimentare, la metalmeccanica e la ceramica) delineano già all’orizzonte il nuovo modello industriale che connoterà il territorio nei decenni successivi.
Sul versante politico, contemporaneamente, l'egemonia del partito da trent'anni maggioritario e alla guida dell'Ente locale viene messa in discussione, preparando la strada per uno storico avvicendamento alla guida della città.

I fatti

 

La sera di sabato 7 luglio 1973, Daniele Ortelli percorre con la sua motocicletta le strade del centro di Faenza: ha appena compiuto 18 anni, ed è figlio di una coppia di operai agricoli. Nonostante la giovane età, ha già una significativa carriera criminale alle spalle, iniziata a soli 13 anni: furti, aggressioni, minacce, anche se fino a quel momento è sempre riuscito a sfuggire alle condanne, ricevendo due volte il perdono giudiziale, una declaratoria di amnistia e due assoluzioni per insufficienze di prove. Ma oltre ad essere un giovane pregiudicato conosciuto come violento e aggressivo, dedito ad occupazioni saltuarie come imbianchino, Daniele Ortelli è anche un attivista politico, iscritto all'organizzazione giovanile missina Fronte della Gioventù.
Più nello specifico, è un membro attivo di una squadra di teppisti neofascisti che, nel biennio precedente a quel luglio 1973, ha provocato diverse aggressioni e messo in atto ripetute provocazioni in tutta Faenza: ben quindici fra il maggio e il giugno 1971, contando solo quelle denunciate alla Polizia.

Se talvolta i picchiatori si limitano a disturbare la quiete pubblica intonando inni fascisti per le strade, non infrequentemente le loro azioni assumono toni più gravi e preoccupanti. Nella primavera del 1971, ad esempio, alcuni di essi (fra cui Ortelli) irrompono nel circolo socialista di Faenza, distruggono una vetrina, intimidiscono i presenti e aggrediscono un agente di Polizia intervenuto su richiesta degli astanti. Il 25 marzo dell’anno seguente, durante una distribuzione di volantini non autorizzata in piazza del Popolo, i neofascisti aggrediscono due militanti della sinistra extraparlamentare con pugni e manganelli. La Polizia, pur presente in forze, non interviene, denunciando solo in seguito i due picchiatori.
In altri casi l’aggressione non prende di mira avversari politici riconosciuti: il gruppo ha infatti il costume di intimidire, minacciare, picchiare coloro che incontrano nei bar, al luna park, nei locali da ballo, ecc.. A molte di queste “imprese”, oltreché alle abbondanti bevute del gruppo di camerati prima delle spedizioni punitive e delle dimostrazioni apologetiche, partecipa anche Ortelli.

“Comunità democratica”, organo della DC di Faenza del 7 luglio 1973, l'articolo rievoca alcune delle violenze commesse nel biennio precedente in città dal gruppo di neofascisti di cui era membro Daniele Ortelli-AAVV, Adriano Salvini: atti della Giornata di studi promossa nel 40. della morte. Faenza, Sala dei Cento pacifici, Ridotto del Teatro comunale  A. Masini, 23 novembre 13, Faenza, I Quaderni dell'A.N.P.I., 2014, p. 21.
“Comunità democratica”, organo della DC di Faenza del 7 luglio 1973, l'articolo rievoca alcune delle violenze commesse nel biennio precedente in città dal gruppo di neofascisti di cui era membro Daniele Ortelli-AAVV, Adriano Salvini: atti della Giornata di studi promossa nel 40. della morte. Faenza, Sala dei Cento pacifici, Ridotto del Teatro comunale  A. Masini, 23 novembre 13, Faenza, I Quaderni dell'A.N.P.I., 2014, p. 21.
L’azione della squadra teppistica aveva provocato, fin dai suoi inizi, la preoccupazione e l’attenzione delle forze politiche cittadine. Già nel 1971, una delegazione composta dai rappresentanti politici e istituzionali del Comitato antifascista permanente si era recata dalle autorità di Pubblica Sicurezza avvertendo della crescente virulenza dell’attivismo neofascista in città e sottolineando anche come alcuni dei picchiatori fossero soliti operare anche fuori da Faenza e avessero preso parte in prima fila a scontri e incidenti a Parma, Predappio, Forlì, ed in altre località limitrofe. Tuttavia le ripetute segnalazioni e denunce avevano portato a ben poco: la Polizia aveva continuato a limitarsi ad una blanda opera di sorveglianza e anche i processi, intentati contro di essi dopo alcune denunce, si erano chiusi con condanne assai miti. L’operato del gruppo neofascista era così continuato, in una città - come si è visto - agitata da crescenti tensioni dovute alla congiuntura economica, a lotte sindacali e studentesche, al nuovo protagonismo dei gruppi extraparlamentari, alle trame e iniziative di un “vecchio” padronato agrario ben poco incline ad accettare il cambiamento dei tempi.
In effetti, nel territorio di Faenza, nonostante le trasformazioni provocate dalla rapida industrializzazione, una fetta consistente della popolazione è ancora attiva nel settore agricolo e la zona della campagna cittadina è una di quelle maggiormente coinvolte nell’intera provincia dalle vertenze dei primi anni ’70, per il superamento dei contratti di mezzadria.
Di fronte a queste mobilitazioni, se parte dei proprietari, ritenendo ormai ineludibile una legge sull'affitto, avvia trattative in proprio con i mezzadri, un altro nucleo di agrari di vecchio stampo, arroccati su posizioni di intransigente conservatorismo sul piano sociale e politico, rifiuta qualsiasi cedimento, trasformando ogni vertenza in uno scontro estenuante.
Articolo de “Il Progresso”, organo del PCI di Faenza del 20 luglio 1973 che riepiloga tutti gli atti di violenza fascista verificatisi in città fra il febbraio 1971 e il luglio 1973.
Articolo de “Il Progresso”, organo del PCI di Faenza del 20 luglio 1973 che riepiloga tutti gli atti di violenza fascista verificatisi in città fra il febbraio 1971 e il luglio 1973.
Manifestazione dell'MSI a Faenza, s.d. (primi anni '70)-AAVV, Adriano Salvini: atti della Giornata di studi promossa nel 40. della morte. Faenza, Sala dei Cento pacifici, Ridotto del Teatro comunale  A. Masini, 23 novembre 13, Faenza, I Quaderni dell'A.N.P.I., 2014, p. 3.
Manifestazione dell'MSI a Faenza, s.d. (primi anni '70)-AAVV, Adriano Salvini: atti della Giornata di studi promossa nel 40. della morte. Faenza, Sala dei Cento pacifici, Ridotto del Teatro comunale  A. Masini, 23 novembre 13, Faenza, I Quaderni dell'A.N.P.I., 2014, p. 3.
E' proprio di questo blocco sociale che si fa paladino il locale Movimento sociale italiano, ed è in questi segmenti del padronato che l'attivismo dei giovani neofascisti trova una benevola sponda. Numerose sono le denunce sul fatto che l’Ortelli e i suoi giovani camerati ricevano da questo ambito finanziamenti, incoraggiamenti e direzionamento per le proprie aggressioni.
Dei primi mesi del 1973, sono due pestaggi (febbraio), quattro aggressioni (marzo), altri pestaggi e provocazioni (aprile).
Il 30 marzo 1973 una seconda delegazione del Comitato Antifascista si reca nuovamente dalle autorità di Pubblica sicurezza, chiedendo provvedimenti più efficaci e stringenti per arginare l’operato della squadra neofascista ed, in particolare, dei sei o sette più noti picchiatori, fra i quali lo stesso Ortelli; ma, per l’ennesima volta, senza esito.

Tornando alla sera del 7 luglio, dopo aver girovagato per il centro, l’Ortelli si dirige verso il bar “Città”, sito in piazza Martiri della Libertà. Arriva contromano e ad alta velocità, fermando la motocicletta con una manovra spericolata a pochi passi dalle persone che siedono davanti al locale. Sceso dalla motocicletta, l’Ortelli entra nel bar e si para davanti ad Aldo Zoli, conosciuto come iscritto al PCI e già minacciato ripetutamente dal gruppo neofascista. Ortelli insolentisce Zoli, il quale cerca di sottrarsi alle provocazioni e chiede alla titolare di informare la Polizia. Ma il neofascista appare deciso allo scontro; del resto, diversi testimoni sostengono che fin dall’inizio della serata, ancora prima di arrivare al bar “Città”, egli avesse manifestato esplicitamente il desiderio di attaccar briga e di picchiare qualcuno. L’incontro con Zoli, un avversario politico riconosciuto, permette ad Ortelli di individuare un bersaglio per la propria furia, caricandola di un risentimento personale e ideologico.

Dopo svariate provocazioni, Ortelli colpisce Zoli con un pugno e poi lo aggredisce con una sedia di metallo, proseguendo il pestaggio davanti al locale. Viene ferito anche Vicenzo Morelli, lontano parente dello stesso Ortelli, che aveva tentato di sedare il diverbio. A quel punto, tutti gli avventori fuggono spaventati dal locale. Anche Aldo Zoli tenta di allontanarsi, ma Ortelli seguita a picchiarlo, anche dopo che l’altro si abbandona a terra inerte fino a fargli sanguinare abbondantemente il volto con un calcio e a procurargli lesioni che richiederanno trenta giorni di prognosi.
Dopo pochi minuti, l’Ortelli lascia il locale e si dirige verso piazza del Popolo, correndo, lanciando minacce e invettive contro i passanti e danneggiando le autovetture. Lungo la strada sferra un fortissimo colpo sulla capote di una automobile in sosta. E’ qui che lo vede Adriano Salvini, che si trova di passaggio in quella zona insieme ad un amico.

Articolo de “Il Resto del Carlino-Faenza” del 9 luglio 1973 che rievoca la serie di violenze commesse da Daniele Ortelli la sera del 7 luglio 1973-AAVV, Adriano Salvini: atti della Giornata di studi promossa nel 40. della morte. Faenza, Sala dei Cento pacifici, Ridotto del Teatro comunale  A. Masini, 23 novembre 13, Faenza, I Quaderni dell'A.N.P.I., 2014, p. 9.
Articolo de “Il Resto del Carlino-Faenza” del 9 luglio 1973 che rievoca la serie di violenze commesse da Daniele Ortelli la sera del 7 luglio 1973-AAVV, Adriano Salvini: atti della Giornata di studi promossa nel 40. della morte. Faenza, Sala dei Cento pacifici, Ridotto del Teatro comunale  A. Masini, 23 novembre 13, Faenza, I Quaderni dell'A.N.P.I., 2014, p. 9.
Articolo de “Il Resto del Carlino” del 9 luglio 1973 che rievoca la personalità e la biografia di Daniele Ortelli.
Articolo de “Il Resto del Carlino” del 9 luglio 1973 che rievoca la personalità e la biografia di Daniele Ortelli.
Adriano Salvini era nato, secondo di cinque fratelli, il 19 aprile 1931 in una piccola borgata del comune di Firenzuola. Dopo aver conosciuto una infanzia particolarmente difficile, viste le stentate condizioni economiche della famiglia, le cose erano migliorate quando, nel 1942, il padre era riuscito ad ottenere un contratto di mezzadria in un fondo nel vicino comune di Palazzolo.
In ogni caso, la sopravvivenza del gruppo familiare era rimasta sempre abbastanza precaria. Così, nel 1954, i Salvini avevano scelto la medesima strada imboccata in quegli anni da decine di migliaia di abitanti delle aree collinari e montuose e, abbandonata Lozzole, si erano trasferiti, con un nuovo contratto di mezzadria, in un podere a Rontana, vicino a Fognano. Il matrimonio di diversi fratelli e sorelle, unito alla morte del padre, riducono di gran lunga il numero dei componenti della famiglia Salvini: così, nel 1963, sono solo Adriano, il fratello Gino e l'anziana madre a lasciare insieme Rontana e trasferirsi a Faenza, dove i due si impiegano come braccianti agricoli. Nel 1966 un nuovo passaggio: Adriano Salvini viene assunto in maniera stabile presso una piccola azienda agricola alle porte della città, e tutto il nucleo familiare può trasferirsi in una abitazione, annessa alla stessa azienda, concessa gratuitamente. Per il resto, comunque, le condizioni di lavoro rimangono abbastanza mediocri. Salvini lavora ogni giorno per una modesta retribuzione, rimanendo escluso dalla condizione di salariato fisso e privo del riconoscimento dell'inquadramento previdenziale e delle norme.
Qualcosa d’incoraggiante, che avvicina i Salvini al mondo della modernità industriale e dei crescenti fermenti del movimento dei lavoratori, è l’assunzione di Gino come operaio della CISA nel 1969. Anche grazie all’esempio del fratello, Adriano si convince progressivamente della necessità di regolarizzare e ottimizzare il suo rapporto di lavoro: dall’autunno 1972 è frequentemente alla Camera della Lavoro per studiare, insieme ai dirigenti sindacali, come assicurare un miglioramento della sua posizione concettuale e previdenziale. Adriano si iscrive alla Federbraccianti della CGIL.
Ritratto Salvini
Ritratto Salvini
Pur non essendo noto come un attivista, o anche solo una persona che si interessa particolarmente di politica, Salvini diviene rapidamente partecipe del suo tempo e comincia a presenziare, puntualmente e costantemente, alle iniziative di lotta indette dalle Organizzazioni sindacali per le riforme sociali, il lavoro, la trasformazione del Paese.
Il 7 luglio 1973 Adriano Salvini lavora fino a tardi, impegnato a scaricare un camion di paglia giunto nel pomeriggio inoltrato. Quale meritato premio, decide di andare ad incontrare gli amici, per scambiare qualche chiacchiera e consumare insieme una bevanda. Approfitta di un passaggio del fratello per raggiungere il luogo di ritrovo, ossia la trattoria “Fumi” in piazza Martiri della Libertà.
Uscito dal locale, insieme ad un amico si dirige verso il bar “Città”, ma se ne allontana quando vede la furia dell’Ortelli. Rimane tuttavia in prossimità, forse si ferma a rivolgere un rimprovero alla folle violenza del giovane e viene quindi travolto dalla feroce aggressione del teppista.
Sorpreso dal repentino scatto di violenza, Salvini non ha il tempo di tentare la minima reazione. Riesce appena ad alzare le mani che viene colpito da una gragnuola di colpi.
Durante il pestaggio, l’Ortelli si interrompe per colpire anche l’amico di Salvini, che nel frattempo era intervenuto in difesa di quest’ultimo. Rivoltosi nuovamente sul bracciante, l’Ortelli lo colpisce con un ultimo violento colpo al collo che ne provocava l’accasciarsi esanime. Inutile è la successiva corsa in ospedale, dove i medici non possono far altro che constatare il decesso di Salvini, provocato dalla frattura delle vertebre cervicali.
A quel punto l’Ortelli si sposta nella trattoria poco distante dove pare calmarsi e accetta l’invito del proprietario di sedersi all’ingresso. Raggiunto in breve dai Carabinieri, si scatena però nuovamente, prima resistendo all’arresto e poi scatenando una nuova collutazione in Caserma.

La stampa e le due versioni 

 

Il feroce omicidio cattura immediatamente l’attenzione della stampa, tanto locale che nazionale e la vicenda ha grande risalto sulle colonne di diversi giornali, da quelli cittadini come “Il Piccolo” (diocesano) e “Il Progresso” (organo del PCI di Faenza), a quelli locali (“Il Resto del Carlino”), fino a quelli di tiratura nazionale “L’Avanti!”, “L’Unità”, “Il Corriere della Sera”.

Articolo de “L'Unità” del 9 luglio 1973 sul tragico omicidio-AAVV, Adriano Salvini: atti della Giornata di studi promossa nel 40. della morte. Faenza, Sala dei Cento pacifici, Ridotto del Teatro comunale  A. Masini, 23 novembre 13, Faenza, I Quaderni dell'A.N.P.I., 2014, p. 3.
Articolo de “L'Unità” del 9 luglio 1973 sul tragico omicidio-AAVV, Adriano Salvini: atti della Giornata di studi promossa nel 40. della morte. Faenza, Sala dei Cento pacifici, Ridotto del Teatro comunale  A. Masini, 23 novembre 13, Faenza, I Quaderni dell'A.N.P.I., 2014, p. 3.
Tuttavia le modalità con cui l’evento viene percepito e interpretato appaiono sin dall’inizio assai diverse. Due sono le differenti posizioni che si impongono: da una parte coloro che sottolineano la natura politica dell’omicidio o comunque il suo stretto legame con un clima di crescente violenza politica generato dallo scorrazzare indisturbato per Faenza dei teppisti neofascisti; dall’altra quelli che tendono a ridurlo ad un comune, benché drammatico, fatto di cronaca nera.
Fra questi ultimi vi è certamente il “Carlino” che, pur dando conto soprattutto nei primi articoli dell’appartenenza politica dell’Ortelli, della sua fama di individuo violento e delle denunce nei suoi confronti per aggressioni politicamente motivate, quasi subito sposa una ricostruzione della violenza nella quale si sottolinea come l’omicida abbia agito per un subitaneo raptus di ferocia, favorito da uno stato di ubriachezza.

Già il 9 luglio, il quotidiano felsineo definisce l’Ortelli «in stato di accentuata ebrezza», sottolineandone l’andatura barcollante e gli immotivati attacchi contro le cose che avevano preceduto l’aggressione. L’omicida sarebbe stato dunque travolto da uno «sfogo insensato» e «preso da una nuvola di rabbia». Nell’articolo comparso sull’edizione nazionale del quotidiano si legge addirittura che l’ebbrezza sarebbe stata la causa più probabile della trasformazione di «un giovane faentino in uno spietato picchiatore ed omicida».

Il giorno seguente, l’ipotesi dell’ubriachezza, della violenza «in preda ai fumi dell’alcol» viene presentata nuovamente, indicata come la direzione verso la quale si stanno volgendo gli inquirenti e corroborata dalla testimonianza di un anonimo sottoufficiale dei carabinieri, che dichiara ai giornalisti che le condizioni dell’Ortelli hanno fatto perdere a quest’ultimo la misura delle proprie azioni e lo hanno condotto a scatenare la sua forza brutale.
Sempre allo stesso funzionario viene attribuita l’asserzione che «il movente dell’omicidio non è assolutamente da ricercarsi nell’intolleranza politica», visto che aggressore e vittima non si conoscevano, la militanza politica di quest’ultima era comunque limitata a poco più che l’iscrizione alla CGIL e l’assalto era nato da un rimprovero mosso all’Ortelli da Salvini.
Sulla stessa falsariga viene riportata una presunta dichiarazione dell’Ortelli ai carabinieri che lo avevano arrestato: «stavolta avete fatto bene ad arrestarmi; ero proprio ubriaco e non so cosa avrei potuto combinare», una frase che, per il quotidiano felsineo, confermerebbe la tesi della «azione di un teppista scatenato da uno stato di ira irrefrenabile causata forse da un accentuato stato di ebrezza».

Articolo de “Il Resto del Carlino-Faenza” del 10 luglio nel quale si formula l'ipotesi che l'efferata violenza dell'Ortolli sia stata originata dal suo stato di ebbrezza.
Articolo de “Il Resto del Carlino-Faenza” del 10 luglio nel quale si formula l'ipotesi che l'efferata violenza dell'Ortolli sia stata originata dal suo stato di ebbrezza.
Sul versante opposto, “Il Progresso” pubblica immediatamente dopo i fatti un lungo elenco delle intimidazioni, dei pestaggi e delle violenze messe in atto dalla squadra neofascista di cui Ortelli faceva parte, puntualizzando come per ben due volte delegazioni guidate dal Sindaco si fossero recate al Commissario di Polizia e al Comando dei carabinieri per avvertire della gravità della situazione e dei pericoli esistenti, e come si fosse anche costituito un vero e proprio comitato per raccogliere testimonianze su tali episodi e presentare denunce all’autorità giudiziaria. Il giornale dà anche conto della biografia specifica dell’Ortelli, della sua abitudine a provocare e intimidire i propri avversari politici in maniera non dissimile da quanto fatto la sera del 7 luglio. Per il “Progresso” dunque chiara è la matrice politica alla base del gesto.
Anche “L’Unità” peraltro, sin dalla sua prima cronaca, parla di «delitto maturato nel clima di intimidazione portato avanti da tempo dai fascisti faentini e inspiegabilmente tollerato da certe autorità preposte alla tutela dell’ordine pubblico, e freddamente premeditato», sostenendo che «la personalità dell’assassino ed il modo come l’aggressione è stata compiuta dimostrano con chiarezza che di lui hanno inteso servirsi ben noti figuri faentini impegnati nella trama nera e nella strategia della tensione». Il quotidiano del PCI sostiene inoltre la tesi secondo la quale l’obbiettivo designato dell’aggressione, appunto di natura politica, sarebbe stato il comunista Aldo Zoli, che già era stato minacciato in precedenza dai camerati di Ortelli.
Significativamente, su posizioni non dissimili è anche il periodico della DC faentina “Comunità Democratica”, che esce nei giorni successivi alla strage con un editoriale intitolato «perché si tratta di un crimine politico e non di un episodio di cronaca nera».
Articolo de “Il Nuovo Ravennate”, organo del PCI della Federazione di Ravenna del 13 luglio 1973, nel quale viene esplicitamente evidenziata la matrice politica dell'omicidio.
Articolo de “Il Nuovo Ravennate”, organo del PCI della Federazione di Ravenna del 13 luglio 1973, nel quale viene esplicitamente evidenziata la matrice politica dell'omicidio.
Il giornale, riflettendo le contrapposizioni e le divergenze di opinione che attraversano le fila dello Scudo crociato e dell’elettorato più moderato che ad esso fa riferimento, si propone di chiarire perché la vicenda non possa essere liquidata come un banale atto criminale e di rispondere a coloro che si mostrano convinti di essere di fronte ad una qualche forma di speculazione politica comunista sull’accaduto.

“Comunità democratica” sottolinea che questi orientamenti non tengono conto di una realtà cittadina nella quale da un paio di anni opera una squadra di picchiatori neofascisti, che avevano commesso ripetuti atti di violenza e di aggressione, «fatti che gran parte dell’opinione pubblica non conosce, ma di cui da tempo i Partiti si preoccupavano». Tali fatti erano stati tanto allarmanti che per ben due volte, sia il Sindaco che gli altri dirigenti della DC si erano associati alle denunce e alle rimostranze espresse all’autorità di Pubblica Sicurezza da esponenti dei sindacati e delle altre forze politiche in merito alla scarsa attività di prevenzione e repressione sull’agire degli estremisti di destra.
Secondo “Comunità Democratica”, nei fatti e sin dal 1971, «Faenza era quindi, senza che forse tanta gente lo sapesse, teatro di un teppismo politico aggressivo», di squadre che partivano anche alla volta di altre città d’Italia per partecipare a scontri e incidenti. L’omicidio di Salvini «deve collocarsi in quel sistema di violenza con il quale, insieme ad altri, da anni intimidiva e spaventava chiunque lo contraddicesse».
A fronte di ciò, non solo la reazione unitaria e di massa promossa dopo l’omicidio da tutti i partiti viene presentata come assolutamente opportuna, ma anche le prese di posizione precedenti trovavano ora una completa giustificazione e motivazione.

Stante una tale divaricazione di posizioni, non stupisce che la vicenda si traduca in una dura polemica fra i vari organi di stampa. Sia “L’Unità” che “Il Progresso” accusano ripetutamente il “Carlino” di diffondere una versione che tende a banalizzare gli eventi e a ridurre la vicenda ad un semplice fatto di criminalità comune, ad una casualità o disgrazia, oltreché di aver sempre minimizzato l’attività delle squadre fasciste in città.
E’ il preludio alla netta presa di posizione della stessa Camera del Lavoro faentina, che il 24 luglio fa affiggere in città un manifesto dal titolo «Vergognose falsificazioni» de “Il Resto del Carlino”, accusando quest’ultimo di aver fornito versioni faziose dei fatti e delle mobilitazioni unitarie seguite all’omicidio. Al giornale felsineo viene imputato di aver cercato sistematicamente di negare ogni sfondo politico dell’omicidio, di aver voluto convincere i lettori che l’omicida, essendo profondamente ubriaco, fosse in qualche modo meno responsabile dei fatti e di aver teso a minimizzare la riuscita degli scioperi e delle dimostrazioni promosse da sindacati e partiti. La CGIL dichiara che «la realtà è molto diversa da come la vorrebbe “Il Resto del Carlino”, visto che lavoratori e popolazione hanno partecipato in modo massiccio alle iniziative messe in campo dopo la morte di Salvini, testimoniando la propria condanna» dell’episodio e chiarendo che ogni azione neofascista dovrà imbattersi nella «volontà democratica e antifascista e con la mobilitazione di massa dell’intera città». Quanto all’omicidio, esso è da analizzare «nel torbido clima di provocazione attuata dai gruppi neofascisti faentini contro le forze democratiche locali, così come va collocato nel clima di esaltazione della violenza e dello scontro fisico propugnati dalla destra neofascista». Il manifesto sarebbe poi stato ripreso anche dal giornale “Avanti!” – che avrebbe definito il “Carlino” «più fascista del Secolo d’Italia» - e avrebbe provocato anche la stizzita replica del quotidiano bolognese.

Manifesto diffuso dalla Camera del Lavoro di Faenza il 23 luglio 1973 con l'accusa a “Il Resto del Carlino” di tentare di minimizzare o negare la matrice fascista dell'omicidio-AAVV, Adriano Salvini: atti della Giornata di studi promossa nel 40. della morte. Faenza, Sala dei Cento pacifici, Ridotto del Teatro comunale  A. Masini, 23 novembre 13, Faenza, I Quaderni dell'A.N.P.I., 2014, p. 18.
Manifesto diffuso dalla Camera del Lavoro di Faenza il 23 luglio 1973 con l'accusa a “Il Resto del Carlino” di tentare di minimizzare o negare la matrice fascista dell'omicidio-AAVV, Adriano Salvini: atti della Giornata di studi promossa nel 40. della morte. Faenza, Sala dei Cento pacifici, Ridotto del Teatro comunale  A. Masini, 23 novembre 13, Faenza, I Quaderni dell'A.N.P.I., 2014, p. 18.

 

La risposta della città

 

La reazione della città di Faenza all’omicidio, superato un primo breve momento di sgomento e stupore per l’efferatezza del gesto, è veemente.
La mattina del 9 giugno, sui muri delle piazze principali fanno bella mostra di sé manifesti di condanna firmati dalle diverse forze politiche e sindacali. Quello dei partiti antifascisti, definito nel corso di una riunione in Municipio insieme al Sindaco, si intitola “Vile assassinio” e definisce l’Ortelli «squallido pregiudicato fascista», riaffermando l’impegno democratico della cittadinanza e la larga condivisione, da parte della comunità di Faenza, dei «valori umani e sociali delle nostre istituzioni» e della comune volontà di realizzare «nella tranquillità e nell’ordine, il progresso democratico» (in conseguenza della sua adesione all'ordine del giorno, approvato in tale occasione all'unanimità, il consigliere liberale Matarese riceve telefonate minatorie).

Manifesto diffuso a Faenza il 9 luglio 1973 dal Comitato permanente Antifascista per la Difesa della Costituzione-AAVV, Adriano Salvini: atti della Giornata di studi promossa nel 40. della morte. Faenza, Sala dei Cento pacifici, Ridotto del Teatro comunale  A. Masini, 23 novembre 13, Faenza, I Quaderni dell'A.N.P.I., 2014, p. 8.
Manifesto diffuso a Faenza il 9 luglio 1973 dal Comitato permanente Antifascista per la Difesa della Costituzione-AAVV, Adriano Salvini: atti della Giornata di studi promossa nel 40. della morte. Faenza, Sala dei Cento pacifici, Ridotto del Teatro comunale  A. Masini, 23 novembre 13, Faenza, I Quaderni dell'A.N.P.I., 2014, p. 8.
Il documento diffuso da CGIL-CISL-UIL si intitolata invece “Basta con la violenza fascista!” e collega la morte di Salvini alla «lunga catena di delitti e attentati iniziata nel 1969 per creare un clima di paura e di terrore in tutto il Paese e per attaccare la lotta vittoriosa del movimento operaio italiano», una azione portata avanti a Faenza da un gruppo di teppisti neofascisti con le loro continue provocazioni. A tale scopo è richiesta una indagine che faccia luce anche sui «mandanti e i finanziatori» del fascismo locale.
Commentando il delitto, anche il Comitato permanente Antifascista per la Difesa della Costituzione rileva come già da diverso tempo in città si fossero verificati episodi di violenza e provocazione fascista, rispetto ai quali le autorità Amministrative e le forze politiche avevano espresso la loro preoccupazione e denuncia, senza però ottenere risultati. 
Manifesto diffuso a Faenza il 9 luglio 1973 dalla Federazione sindacale CGIL-CISL-UIL-AAVV, Adriano Salvini: atti della Giornata di studi promossa nel 40. della morte. Faenza, Sala dei Cento pacifici, Ridotto del Teatro comunale  A. Masini, 23 novembre 13, Faenza, I Quaderni dell'A.N.P.I., 2014, p. 6.
Manifesto diffuso a Faenza il 9 luglio 1973 dalla Federazione sindacale CGIL-CISL-UIL-AAVV, Adriano Salvini: atti della Giornata di studi promossa nel 40. della morte. Faenza, Sala dei Cento pacifici, Ridotto del Teatro comunale  A. Masini, 23 novembre 13, Faenza, I Quaderni dell'A.N.P.I., 2014, p. 6.
Il 9 luglio, alle 17.30 si svolge la manifestazione politico-sindacale in piazza della Libertà indetta dalle tre maggiori sigle sindacali per riaffermare la volontà dei lavoratori «di impedire che il neofascismo possa continuare la sua azione di violenza e di disgregazione nei confronti dell’istituzione repubblicana sorta dalla Resistenza». Al termine del comizio, alcune decine di militanti di Avanguardia Operaia sfilano in corteo per la città, transitando davanti alla sede del Movimento Sociale Italiano e lanciando slogan contro il fascismo.
Alle 21 si svolge una seduta straordinaria del Consiglio comunale, dove tutti i gruppi consiliari (DC, PCI, PSI, PRI, PSDI, PSIUP e PLI) si trovano concordi nella esecrazione dell’accaduto e nell'imputare l'omicidio alla violenza “nera”. Successivamente viene approvato all’unanimità un ordine del giorno, che prende le mosse dalla denuncia del «gravissimo fatto di sangue avvenuto per mano di uno squallido pregiudicato fascista, che ha provocato con efferata ferocia la morte di un inerme cittadino e il ferimento di altri due». Il documento chiede poi l’esemplare condanna dell’assassino come monito per gli altri estremisti e «una sollecita ed incisiva azione politica e legislativa, coerente con la Costituzione repubblicana e antifascista, per garantire ai cittadini le libertà costituzionali e la tranquillità nell’ordine e per tutelare la sicurezza delle istituzioni democratiche». I cittadini di Faenza vengono inviati a «sostenere lo sforzo e l’impegno democratico di quanti lottano per la libertà e la pace», isolando provocatori e teppisti.
Intervenendo nel dibattito, il Sindaco democristiano Gallegati sottolinea come l’accaduto rappresenti una «pagina nera nella storia cittadina», non solo per l’omicidio in sé ma anche perché questo è stato «l’ultimo anello della già pesante catena di fatti che da qualche anno turbano la serenità e l’armonia della vita sociale di Faenza», con bande di teppisti fascisti che si sono assunte «il compito di seminare tra i cittadini la paura e il terrore attraverso scorribande violente e minacciose nei luoghi di ritrovo». Callegati conclude annunciando la pubblica manifestazione del 13 luglio, «che vuole essere una chiara risposta ai nostalgici di un passato che non può tornare e che non vogliamo ritorni».
Articolo de “Il Resto del Carlino-Faenza” dell'11 luglio 1973 riportante il testo dell'Ordine del giorno sull'omicidio approvato all'unanimità dai Partiti antifascisti faentini.
Articolo de “Il Resto del Carlino-Faenza” dell'11 luglio 1973 riportante il testo dell'Ordine del giorno sull'omicidio approvato all'unanimità dai Partiti antifascisti faentini.
Dunque, come del resto era avvenuto di fronte al succedersi degli atti di teppismo messi in atto dalla locale squadraccia fascista e in reazione alle bombe e alle stragi verificatesi nel resto del Paese, attorno alle tematiche dell’antifascismo e della difesa della Costituzione le forze politiche e la comunità faentina serrano i ranghi, manifestando una sostanziale comunità di vedute e una concorde e ferma volontà di denunciare l’accaduto e il clima di violenza esistente.
Anche la società civile mostra di percepire con chiarezza il senso e la portata dell’evento: centinaia sono i telegrammi di solidarietà che arrivano alla famiglia del defunto e alla CGIL, e ancor più numerose le persone che visitano la camera ardente. Dopo la prima manifestazione indetta dai sindacati, sono infatti i funerali di Salvini a divenire teatro di una risposta di massa che dà la prova della volontà di respingere quello che è letto come un attacco contro l’intera comunità e di ribadire il valore della democrazia e della Costituzione repubblicana contro ogni rigurgito reazionario.
Il corteo, che si tiene nel tardo pomeriggio del 10 luglio, è aperto da una cinquantina di giovani, rappresentanti di varie organizzazioni antifasciste che portano corone di fiori, poi vengono le autorità locali, i parlamentari, i consiglieri comunali, le rappresentanze della Giunta provinciale e dei comuni del ravennate. Fra fiori, bandiere rosse, gonfaloni di 14 comuni della provincia, sfilano per tutta la città diverse migliaia di persone. Alla fine della manifestazione, gruppi di militanti di Lotta Continua, Avanguardia Operaia e dei marxisti leninisti, organizzano una nuova dimostrazione che sfila davanti alla sede MSI, frattanto abbandonata dal partito. I promotori saranno poi denunciati.
Nella zona di Faenza importanti sono anche le adesioni al contestuale sciopero indetto in segno di lutto da CGIL-CISL-UIL.
Infine, il 13 luglio alle ore 21 si svolge la grande manifestazione provinciale di piazza del Popolo, promossa dal Comune, da CGIL-CISL-UIL e dal Comitato antifascista allo scopo di «testimoniare la decisa e unitaria volontà delle forze democratiche di vigilare contro ogni violenza fascista».
Intervengono il sindaco di Faenza Gallegati, il consigliere regionale della DC Guerra, il vicepresidente della Camera Arrigo Boldrini e il presidente dell'Assemblea legislativa regionale Armaroli.
Articolo de “Il Nuovo Ravennate”, organo del PCI della Federazione di Ravenna, del 20 luglio 1973 sulla manifestazione provinciale antifascista unitaria svoltasi a Faenza il 13 luglio 1973.
Articolo de “Il Nuovo Ravennate”, organo del PCI della Federazione di Ravenna, del 20 luglio 1973 sulla manifestazione provinciale antifascista unitaria svoltasi a Faenza il 13 luglio 1973.

Il processo e le sentenze

 

Dal punto di vista giudiziario, stante l’immediato arresto dell’omicida e le decine di testimonianze sui fatti, l’iter processuale è piuttosto spedito.
Daniele Ortelli viene inizialmente imputato per omicidio volontario, lesioni continuate, minacce e resistenza a pubblico ufficiale. Nell’imminenza del processo in Corte d’Assise (autunno 1974), tuttavia, il Pubblico Ministero chiede di derubricare la prima imputazione a omicidio preterintenzionale. Nonostante l’opposizione dei rappresenti della parte civile, tale modifica viene accolta.
La corte condanna infine Ortelli ad un totale di 18 anni di carcere. La sentenza mostra di sposare un’interpretazione che tende ad escludere ogni motivazione politica dell’accaduto – l’omicidio si è verificato «al di là di qualunque, anche lontanissimo, fatto politico» si legge nel testo - e ad accogliere almeno in parte le tesi della difesa sul profondo stato di ubriachezza del reo come elemento decisivo nell’andamento dei fatti di quella tragica serata.

Articolo de “Il Resto del Carlino” del 16 luglio 1973 in cui vengono descritte le prime fasi dell'inchiesta della Procura della Repubblica.
Articolo de “Il Resto del Carlino” del 16 luglio 1973 in cui vengono descritte le prime fasi dell'inchiesta della Procura della Repubblica.
Al contrario vengono giudicati irrilevanti, nel giudizio sull’accaduto, la riconosciuta capacità di delinquere dell’Ortelli e i suoi precedenti penali collegati alla militanza neofascista, che pure sono riepilogati. Ciò che sarebbe avvenuto quel 7 luglio sarebbe stata dunque una sorta di tragica fatalità: Salvini sarebbe divenuto la vittima casuale di un individuo violento e fuori controllo che si muoveva a casaccio per la città sfogando la sua furia aggressiva. L’esplosione della violenza, secondo questa lettura, non sarebbe maturata tanto all’interno degli ambienti dell’estremismo politico frequentati dall’Ortelli ma piuttosto nel suo difficile contesto familiare. La difesa si appella contro la sentenza, chiedendo la concessione all’Ortelli di attenuanti generiche e specifiche, al posto dell’aggravante correlata ai futili motivi che gli era stata comminata. Il pronunciamento di primo grado viene confermato, con una lieve riduzione della pena a 16 anni di reclusione, dal giudizio della Corte di Assise d’Appello di Bologna nel dicembre 1975 ed infine dalla Corte di Cassazione nel giugno 1976.

LA memoria e le questioni aperte

 

Il trascorrere degli anni non ha risolto la presenza di due interpretazioni piuttosto divergenti dell’omicidio di Adriano Salvini.
Da una parte quella enunciata, fin dai giorni immediatamente successivi all’accaduto, da “Il Resto del Carlino”, poi sposata da grande parte dei settori più moderati dell’opinione pubblica locale e sostanzialmente adottata anche dalle corti che si sono pronunciate in sede giudiziaria sull’accaduto.
Per questa interpretazione, quanto avvenuto il 7 luglio 1973 sarebbe stato un fatto tragico e drammatico ma racchiuso in sé stesso, il feroce eccesso di un balordo ubriaco che sarebbe costato la vita alla persone che aveva avuto la sfortuna di pararglisi davanti in quel momento.
Sull’altro versante vi è la versione alla quale hanno fatto riferimento i partiti politici costituzionali, i sindacati e l’opinione pubblica antifascista. Questa analisi concorda, con alcune differenze di sfumatura, sull’idea che l’omicidio rappresenti una sorta di epilogo cruento di una strategia politica eversiva condotta in città per almeno un biennio.
Dunque, se l’omicidio in sé forse non può essere considerato, in senso tecnico, come “omicidio politico”, certamente invece può essere definito come un fatto criminale di natura politica. In effetti, pur accettando che Ortelli non abbia agito con premeditazione, sulla base di una committenza di natura politica, e nemmeno con l’intento di uccidere un riconosciuto avversario ideologico, lo scenario in cui matura il suo folle scatto di violenza è quello dello squadrismo nero, dell'attivismo dei gruppi neofascisti, dei sostegni che segretamente ricevono, di una militanza segnata dall'esaltazione della violenza e dalla ricerca dello scontro fisico dei loro attivisti, in un quadro generale di dura contrapposizione per le lotte agrarie in corso e di strettissimi legami fra il locale MSI e una parte del padronato.
In questa visione, se chiunque avrebbe potuto essere vittima della violenza dell'Ortelli in quella serata faentina, per nulla casuali sono le generalità dell’omicida, il livello di violenza dispiegata e il momento dell’accaduto. L’omicidio Salvini è quindi letto come ultima e più estrema tappa di ripetute violenze fasciste, di un crescente clima intimidatorio che, nell’analisi di alcuni, rappresenta, una sorta di riflesso, di portata locale, dell’azione di una manovalanza politica violenta di matrice “nera” comune a molte realtà del Paese. Una catena di aggressioni lasciata sostanzialmente impunita dalle autorità di pubblica sicurezza, nella quale fra le altre personalità era emersa quella dell’Ortelli, non un ubriacone occasionale promotore di risse, ma un picchiatore abituato a mettere la propria abilità coi pugni al servizio della violenza ideologica.

Articolo de “Il Progresso”, organo del PCI di Faenza, del 20 luglio 1973 nel quale viene nuovamente messa in evidenza la matrice neofascista dell'omicidio.
Articolo de “Il Progresso”, organo del PCI di Faenza, del 20 luglio 1973 nel quale viene nuovamente messa in evidenza la matrice neofascista dell'omicidio.
La convinzione della fondatezza di questa interpretazione delle forze politiche e sindacali antifasciste cittadine si riflette nell’insistenza e nelle corali richieste formulate nei mesi successivi alle autorità preposte, affinché venisse fatta chiarezza su due aspetti, identificati come decisivi: perché vi fosse stato, da parte di Magistratura e Forze dell’Ordine, un sostanziale lassismo nei confronti delle ripetute violenze e provocazioni squadriste nel biennio precedente al luglio 1973, e chi fossero i finanziatori delle “imprese” del gruppo.
Sulla spinta di queste richieste di chiarificazione, la vicenda Salvini approda ripetutamente nelle aule parlamentari. Già pochi giorni dopo i fatti, l’onorevole socialista Stefano Servadei interroga il Presidente del Consiglio sull’accaduto, sottolineando che l’omicidio non era da ritenersi un evento isolato, frutto della momentanea follia di uno squilibrato, ma l’ultimo anello di una catena di violenze che, forte di sostegni, complicità e aiuti nell’ambiente faentino, si era lungamente dispiegata in città, incoraggiata da un incomprensibile inazione delle autorità preposte a reprimerla.
Nel febbraio dell’anno successivo, il 1974, è il Senato ad essere teatro di ripetute interrogazioni dei comunisti Li Vigni e Sabadini e del democristiano Assirelli, già sindaco di Faenza per 16 anni. Anche in questo caso gli interroganti, riepilogati i fatti, sottolineano la catena di violenze fasciste che li aveva preceduti nel biennio 1971-73, un insieme di fatti che, nel loro concatenarsi, vanno a delineare - secondo Assirelli - «una volontà di provocazione contro la popolazione in genere», mentre l’organizzazione e i mezzi a disposizione del gruppo lasciano intuire la presenza di mandanti e finanziatori delle loro gesta. Ancora, sono chiesti chiarimenti sull’operato delle Forze dell’Ordine e sulla possibilità di indagare sui legami fra Ortelli e camerati e i loro protettori e finanziatori.
Tuttavia, la risposta governativa a queste continue sollecitazioni rimane sempre attestata su ricostruzioni che tendono a ridurre l’accaduto al raptus di un ubriaco, mentre la difesa dell’operato della Polizia fa tutt’uno con la negazione di un legame fra l’omicidio e i fatti commessi dai neofascisti nei mesi precedenti.
Chiusosi anche l’iter processuale, le questioni connesse all’operato del gruppo di teppisti dei quali faceva parte anche Ortelli, delle coperture eventualmente godute, dei sostegni occulti e del loro utilizzo strumentale sono rimaste sostanzialmente irrisolte. [Articolo de “Il Progresso”, organo del PCI di Faenza, del 20 agosto 1973 nel quale viene dato conto dell'interpellanza presentata al Governo dai senatori comunisti Sabadini e Li Vigni in merito ai ripetuti atti di violenza neofascista accaduti a Faenza fra il 1971 e il luglio 1973.]