L'Emilia-Romagna di fronte alla violenza politica e al terrorismo:
storia, didattica, memoria

L'Italia degli anni 80

di Carlo De Maria e Tito Menzani

L'Italia degli anni 80

Il contesto internazionale: guerra fredda e avanzata neoliberista

Gli anni ottanta sono una categoria storiografica relativamente recente, se non altro per ragioni di vicinanza temporale. Rappresentano il decennio che ha incubato il tramonto del comunismo nel mondo occidentale, e di conseguenza anche la fine della guerra fredda e l’ascesa delle istanze neoliberiste. In questa fase si risolse il conflitto fra sogno americano e mito sovietico che si era a lungo sostanziato su due piani distinti. Da un lato vi era il confronto militare, fatto di una corsa agli armamenti e di un duello a distanza per sostenere governi amici nei paesi emergenti. Dall’altro uno scontro culturale, che tendeva a presentare all’opinione pubblica internazionale il proprio modello di sviluppo come quello migliore in assoluto.

Nel corso degli anni ottanta, la guerra fredda ebbe inizialmente una recrudescenza, che però si rivelò essere una sorta di colpo di coda, preludio di una definitiva distensione e normalizzazione dei rapporti tra Usa e Urss.

La vittoria di Reagan raccontata nei servizi Rai.


 

Nel 1980, il repubblicano Ronald Reagan diventava il 40° presidente degli Stati Uniti, dopo una campagna elettorale incentrata su un programma economico liberista e una rinnovata ostilità nei confronti l’Urss. Nel 1983, egli definì la potenza rivale un «impero del male», una espressione forte che voleva giustificare il suo costoso piano di riarmo.

E così continuarono ad essere numerosi i paesi segnati da uno scontro interno fra giunte militari che godevano dell’appoggio americano e movimenti rivoluzionari di ispirazione marxista. È il caso di varie realtà latino-americane, come il Nicaragua, in cui i gruppi paramilitari dei Contras si opponevano i guerriglieri «sandinisti», il Perù, dove a lungo operarono i maoisti di Sendero Luminoso, o l’Uruguay, in cui si distinse il gruppo dei tupamaros.

In anni di grandi tensioni fra i due paesi, anche lo sport fu una cassa di risonanza del gelo fra il Cremlino e la Casa Bianca: gli Usa non parteciparono alle olimpiadi del 1980, organizzate a Mosca, e i sovietici boicottarono quelle di Los Angeles, tenutesi quattro anni dopo. Da ambedue le parti, la macchina della propaganda partoriva idee per esaltare la propria identità e denigrare quella avversaria. Se ciò era particolarmente evidente sul fronte sovietico, dato che l’impostazione totalitaria e non democratica dell’Urss facilitava la repressione del dissenso e il controllo dell’informazione, non si deve credere che fenomeni analoghi non appartenessero anche al contesto statunitense. Uno dei più chiari esempi è il film Rocky IV, girato nel 1985 e mai distribuito in Unione Sovietica, perché appunto anticomunista.

Una scena del film Rocky IV nella quale il pugile americano (Sylvester Stallone), sintesi di passione, umanità e voglia di vincere, si contrappone ad un avversario sovietico, Ivan Drago (Dolph Lundgren), essenzialmente privo di una propria volontà, quasi un robot algido e amorale, che ubbidisce meccanicamente agli ordini dell’apparato burocratico di Stato


 

Tuttavia, nel 1985 alla guida dell’Unione Sovietica fu nominato Michail Gorbacev, primo segretario del Pcus a non essere stato coinvolto direttamente dallo stalinismo e deciso ad introdurre varie riforme nel paese. L’intenzione di fondo era una correzione della pianificazione centralizzata attraverso elementi di economia di mercato e un allentamento della monocratica sovrapposizione fra strutture dello Stato e del partito comunista, per legittimare anche alcune moderate espressioni di dissenso. In breve tempo, Gorbacev guadagnò un ampio consenso internazionale, e fu visto con favore e fiducia soprattutto dall’opinione pubblica occidentale. In tal senso, lo stesso Reagan comprese come un miglioramento dei rapporti con l’Urss potesse ben coronare la propria politica estera, per dimostrare che pur se era stata fino a quel momento spavalda e aggressiva, non era necessariamente vocata allo scontro.

Reagan e Gorbachev in un incontro a Reikjavik nel 1986
Reagan e Gorbachev in un incontro a Reikjavik nel 1986
Nel 1985, i due capi di stato si incontrarono a Ginevra, un anno dopo nuovamente a Reykjavik, e un anno dopo ancora una terza volta a Washington.

Pur se nel concreto gli accordi intercorsi tra Usa e Urss si limitavano a pattuire una riduzione degli armamenti e a qualche specifica intesa di non ingerenza a livello internazionale – l’Urss si impegnò a cessare l’occupazione militare dell’Afghanistan – l’impatto mediatico di questi incontri fu enorme e da più parti si convenne che la guerra fredda era approdata ad una nuova stagione.

7 febbraio 1992: la firma del Trattato di Maastricht.
7 febbraio 1992: la firma del Trattato di Maastricht.
Nel contempo, l’Europa occidentale proseguiva nel processo di integrazione economica, e in subordine anche politica, che aveva timidamente avviato dopo la seconda guerra mondiale. Gli anni ottanta segnarono un’accelerazione di questo processo, grazie al lungo e laborioso (ma soprattutto fruttuoso) lavoro diplomatico che portò, nel 1985, agli accordi di Schengen (effettivi solo dal 1990). Questi stabilivano la libera circolazione delle persone tra i paesi europei firmatari, e furono in un certo senso il preludio del trattato di Maastricht, firmato il 7 febbraio 1992 dai dodici paesi membri della Cee ed entrato in vigore il 1 novembre dell’anno successivo, che sancì la nascita dell’Unione Europea, in sostituzione della precedente Comunità economica.

Un video sull’integrazione europea realizzato come materiale didattico in abbinamento al manuale per i licei Una storia globale, a cura di Vera Zamagni, Germana Albertani, Carlo De Maria, Tito Menzani, in 3 voll., Milano-Firenze, Mondadori Education-Le Monnier Scuola, 2015

Questi scenari di progressiva distensione fu accompagnato da una virata liberista nella vita politica dei principali paesi ad economia matura. Gli anni settanta erano stati praticamente ovunque l’acme di una stagione di lotte e di rivendicazioni politico-sindacali iniziate nel secondo dopoguerra e implementate dai movimenti nati dal ‘68. Nel decennio successivo queste istanze rifluirono, anche sull’onda di un ricambio generazionale che dava spazio a giovani cresciuti nella civiltà del benessere e dei consumi. La forma mentis di queste nuove leve e gli interessi di importanti lobby economiche fecero da substrato all’ascesa del neoliberismo, una concezione politico-economica che mira alla deregolamentazione e alla riduzione del peso dello Stato nell’economia pubblica. La premier inglese Margaret Thatcher fu tra i principali leader mondiali a cavalcare questa dottrina, e individuò nell’impresa pubblica il principale obiettivo polemico.

Tra il 1979 e il 1990, il Regno Unito fu interessato da una massiccia ondata di privatizzazioni, che portarono le imprese statali a crollare dal 19% al 4% in termini di apporto al pil. Si trattò di un processo ben presto imitato dai governi di molti altri paesi, anche perché varie imprese pubbliche erano diventate un feudo di rendite di posizione e di clientelismo, e ogni anno fagocitavano consistenti risorse del bilancio dello Stato, costretto a ripianare perdite su perdite.

1984, I minatori inglesi entrano in sciopero contro i piani di dismissione industriale varati dal governo Thatcher. Nonostante la dura lotta dei lavoratori, i sindacati usciranno però sconfitti.
1984, I minatori inglesi entrano in sciopero contro i piani di dismissione industriale varati dal governo Thatcher. Nonostante la dura lotta dei lavoratori, i sindacati usciranno però sconfitti.
In questo, economisti come Friedrick von Hayek e Milton Friedman – principali teorici del neoliberismo – avevano buon gioco nel denunciare l’inefficienza delle imprese pubbliche, ma la soluzione radicale che proponevano, e cioè la privatizzazione, finì in vari casi per comportare gravi costi sociali, perché applicata in maniera spesso indiscriminata, anche nei confronti di aziende che operavano in monopoli naturali o che gestivano servizi essenziali. 

L’altro volto del neoliberismo fu l’attacco alle forze sindacali, accusate di avere un atteggiamento conservativo o troppo ideologico, in ogni caso ostile alla proprietà delle imprese, e dunque colpevoli di frenare lo sviluppo. In vari paesi europei, gli anni ottanta significarono un ridimensionamento del ruolo del sindacato, e dunque l’incipit di una parabola discendente che avrebbe poi comportato una crisi della rappresentanza.

In Italia: dalla marcia dei quarantamila al craxismo

Proprio in Italia fu ben evidente che il passaggio dagli anni settanta agli ottanta avesse comportato una cesura nella storia del sindacato. Dopo le agitazioni del ’68 vi era stato un generalizzato miglioramento delle condizioni salariali e le riforme progressiste varate dal Parlamento avevano contribuito ad una generale avanzata delle sinistre in tutto il paese. Contemporaneamente, però, si ebbe anche un acuirsi della strategia terroristica. Il dibattito interno al Pci e agli altri movimenti e partiti di sinistra finì per diventare in buona parte autoreferenziale, e a trascurare quella parte di cittadinanza che si riconosceva in una proposta politica di segno opposto. Fu una sorta di sbornia ideologia, con un brusco risveglio il 14 ottobre del 1980.

Quel giorno, nel cuore della Torino operaia, si tenne la cosiddetta «marcia dei quarantamila», e cioè una manifestazione dei quadri e degli impiegati Fiat contro il sindacato, che da oltre un mese era in agitazione e impediva a molti di loro di accedere al posto di lavoro attraverso picchetti ai cancelli. Si trattava di una dura presa di posizione del ceto medio di fabbrica contro la retorica operaista e le prassi rivendicative adottate dal sindacato. Al di là degli effetti immediati – e cioè la rapida chiusura della vertenza che aveva innescato gli scioperi – il corteo dei quarantamila ebbe un impatto emotivo enorme.

4 agosto 1983, giura il primo governo Craxi dinanzi al Presidente della Repubblica Pertini
4 agosto 1983, giura il primo governo Craxi dinanzi al Presidente della Repubblica Pertini
Tra i protagonisti di questa fase della politica italiana va sicuramente annoverato Bettino Craxi, divenuto segretario del Psi nel 1976, dopo che il consenso elettorale al partito era sceso sotto la soglia del 10%. Fortemente critico nei confronti del comunismo, Craxi si presentò come un decisionista attento alla società e ai diritti civili, capace di dialogare con i movimenti e con ampie fasce del ceto medio. Durante la sua segreteria, il Psi guadagnò un poco terreno fino all’11,4% delle elezioni del 1983, le stesse che segnarono un arretramento di Dc (32,9%) e Pci (29,9%), e un’ascesa dei partiti laici di centro e centro-sinistra.

Incaricato di formare il nuovo governo, Craxi fu il primo socialista a diventare presidente del consiglio. Erano passati 101 anni da quando era entrato in Parlamento il primo socialista, e cioè Andrea Costa. Craxi confermò l’alleanza del cosiddetto «pentapartito», tra democristiani, socialisti, socialdemocratici, repubblicani e liberali, e varò un esecutivo destinato a restare in carica quasi tre anni, un record nella storia della repubblica. Ad esso, tra l’altro, seguì un secondo governo Craxi, più breve, per cui egli rimase di fatto presidente del consiglio dal 1983 al 1987, connotando di conseguenza il decennio degli anni ottanta.

Nel complesso, l’attività degli esecutivi guidati da Craxi fu ricca di riforme importanti, ma non scevra di varie ombre. Tra i primi provvedimenti si ebbe un nuovo concordato con la Santa Sede che aggiornava i Patti lateranensi del 1929, ne eliminava i tratti più anacronistici e introduceva il finanziamento (facoltativo) dell’8 per mille nella denuncia dei redditi. L’accordo fu il volano per importanti successi in politica estera, che contemplarono un rafforzamento del patto atlantico – con l’avallo all’installazione di basi missilistiche in Sicilia – e un’accelerazione del processo di integrazione europea. Inoltre, l’Italia guadagnò una certa autonomia, emancipandosi dall’ala protettrice statunitense, e si avvicinò ad interlocutori importanti quali i paesi arabi dell’area mediterranea.

In politica interna, nel 1984, Craxi varò un decreto che ridimensionava la scala mobile, ossia un meccanismo che adeguava i salari all’inflazione. Pur se questo strumento era importante per tutelare il potere d’acquisto, contribuiva ad aggravare il problema del carovita. Il Pci e la Cgil fecero un’opposizione durissima alla riforma della scala mobile e raccolsero anche le firme per un referendum abrogativo del provvedimento, che però – a sorpresa – vide i sì attestarsi al 45,7%, contro il 54,3% di favorevoli alla riforma craxiana. Si trattò di una seconda grave sconfitta per il principale sindacato italiano, dopo quella della marcia dei quarantamila.

Sempre in politica interna vennero adottati alcuni provvedimenti contro l’evasione fiscale – a partire dall’introduzione dei registratori di cassa in tutti gli esercizi commerciali – e l’abusivismo edilizio, con una riforma delle leggi urbanistiche che introducevano il reato penale per coloro che costruivano senza permesso e che attribuiva agli amministratori locali la responsabilità dei controlli. Quest’ultima riforma vide un’effettiva applicazione solo in alcune aree del paese e soprattutto fu accompagnata da un discusso condono edilizio che sanava buona parte degli illeciti precedenti.

Silvio Berlusconi e Bettino Craxi nel 1984
Silvio Berlusconi e Bettino Craxi nel 1984
Inoltre, Craxi riformò il sistema televisivo italiano, all’epoca imperniato sulla dicotomia tra il servizio pubblico nazionale della Rai e le piccole emittenti private, consentendo la creazione di canali televisivi nazionali di carattere privato.Di fatto si sanava la posizione del principale imprenditore del settore, Silvio Berlusconi, titolare di Rete 4, Canale 5 e Italia 1, che già trasmettevano su tutto il territorio nazionale tramite ripetitori interconnessi. Il provvedimento fu molto discusso, perché non solo Craxi e Berlusconi erano molto amici – addirittura il primo fu testimone di nozze del secondo e padrino di battesimo di Barbara Berlusconi – ma perché la nascita del primo grande polo della tv commerciale italiana implicava un debito di riconoscenza di quest’ultima nei confronti della compagine governativa. Peraltro, da un punto di vista culturale, l’affermazione della nuova televisione commerciale comportò, tra le altre cose, un modello di promozione pubblicitaria molto più aggressivo ed efficace del vecchio e discreto Carosello. Alcuni spot degli anni ottanta divennero un cult, entrando a pieno titolo nella “memoria televisiva” degli italiani.

Alcuni spot promozionali divenuti famosi nel corso degli anni ‘80.


 

Tuttavia, la principale ombra dei governi Craxi fu l’innesco di una vorticosa crescita della spesa pubblica, destinata a finire fuori controllo, dato che in pochi anni passava dal 70% al 90% del pil e addirittura raddoppiava in valore assoluto. Pur se questa scelta fu funzionale all’irrobustimento del welfare state e al rilancio dell’economia – nel 1987 l’Italia diventava il quinto paese industriale al mondo – aumentarono gli sprechi e le forme di puro assistenzialismo, motivate per lo più da tornaconti elettorali. Apparve chiaro a molti come una situazione di quel genere non fosse a lungo sostenibile.

Le elezioni del 1987 premiarono i principali partiti di governo, e cioè la Dc e il Psi, e segnarono un nuovo arretramento dei comunisti e dell’estrema destra monarchico-missina. Ma i nuovi governi guidati da esponenti democristiani non ebbero la forza di essere duraturi né tanto meno incisivi. Più che altro si registrò un netto distacco tra società civile e impegno politico, che toglieva ogni residuale spazio a proposte eversive o sovversive, ma che finiva anche con l’accentuare una diffidenza nei confronti dei partiti. In particolare, a fronte di crescenti critiche alla compagine governativa, le opposizioni non parevano in grado di guadagnare terreno, ancorate a schemi ideologici che agli albori degli anni novanta non sembravano più attuali. Era il preludio di una nuova clamorosa svolta che si consumò tra la fine degli anni ottanta e l’inizio dei novanta.

La fine del comunismo

La politica di distensione con gli Stati Uniti inaugurata da Reagan e Gorbacev contribuì ad aumentare la popolarità di entrambi. Tuttavia, mentre il primo era prossimo alla scadenza del mandato, per il secondo si prospettava una lunga stagione alla guida dell’Urss. Non sfuggiva ai più che il modello sovietico fosse precipitato in una crisi seria, che si manifestava attraverso un crescente gap tra la qualità della vita russa e quella dei paesi occidentali. Ma le riforme promesse da Gorbacev avevano proprio l’obiettivo di rivedere i meccanismi economici e istituzionali del socialismo reale, per rilanciare questo modello in termini di competitività e credibilità internazionale. Le parole d’ordine lanciate da Gorbacev furono tre: perestrojka (riforma), glasnost (trasparenza) e uskorenie (accelerazione dello sviluppo), anche se fu soprattutto la prima – a volte in abbinamento con la seconda – ad avere maggiore successo mediatico e ad essere ricordata dall’opinione pubblica, anche internazionale.

Un video su Gorbacev realizzato come materiale didattico in abbinamento al manuale per i licei Una storia globale, a cura di Vera Zamagni, Germana Albertani, Carlo De Maria, Tito Menzani, in 3 voll., Milano-Firenze, Mondadori Education-Le Monnier Scuola, 2015 )

I primi importanti provvedimenti furono varati nel 1987. Le imprese statali furono riformate, nell’idea che dovessero autofinanziarsi coi proventi delle vendite. In particolare, una volta che avessero ottemperato agli ordinativi dello Stato, erano libere di disporre del surplus merceologico a loro piacimento e di commercializzarlo a prezzi di mercato. A Mosca venne addirittura costituita una borsa merci, che a livello simbolico rappresentò l’apertura dell’economia statalizzata verso il modello capitalista. Nel 1988, una nuova legge consentì la realizzazione di imprese commerciali o di produzione artigianale in forma privata. Si trattava di una svolta importante, che di fatto ripristinava la proprietà privata dei mezzi di produzione non strategici. Sul fronte politico-istituzionale, invece, la messa in pratica della glasnost significò una graduale liberazione dei dissidenti e un allentamento della censura, che preludeva ad una crescente libertà di stampa.

Sul finire degli anni ottanta, la portata di queste politiche di rinnovamento fu ben tangibile, ma le conseguenze furono decisamente distanti da quello che Gorbacev aveva immaginato. Dal suo punto di vista, la legalizzazione del dissenso avrebbe dovuto portare a critiche costruttive volte a migliorare il sistema socio-economico sovietico, invece si catalizzarono voci e opinioni discordanti tra loro, che però avevano in Gorbacev il proprio obbiettivo polemico. Da un lato, una parte della burocrazia e della classe dirigente criticava le aperture all’occidente, dall’altra una frangia sempre più numerosa di dissidenti non si limitava a chiedere di riformare il sistema ma individuava nell’abbattimento del comunismo il vero fine politico.

La maggiore libertà di informazione diede improvvisamente modo ai cittadini sovietici di percepire una realtà molto diversa da quella che conoscevano attraverso l’esperienza diretta e la propaganda di regime. Gli echi di scandali relativi alla corruzione della classe politica, i confronti fra il tenore di vita a est e a ovest della cortina di ferro, gli sprechi dovuti alle inefficienze della macchina statale vennero via via rimbalzati da un giornale all’altro, approfittando dell’allentamento della censura, e contribuirono a far aumentare notevolmente il malcontento nel paese.

Una manifestazione di Solidarnosc a Varsavia nel maggio 1982 (AP photo)
Una manifestazione di Solidarnosc a Varsavia nel maggio 1982 (AP photo)
Le conseguenze più immediate furono nei paesi satellite dell’Europa dell’Est. In molti di questi, il comunismo aveva sempre più mostrato un volto tirannico e impopolare, tanto che si faticava ad immaginare una perpetuazione di questi regimi senza l’appoggio di Mosca. In Polonia, ad esempio, operava da un po’ di tempo un sindacato indipendente denominato Solidarnosc, di ispirazione cattolica e apertamente ostile al comunismo. Dopo l’ascesa di Gorbacev, Solidarnosc ebbe maggiori possibilità di movimento, e ottenne che ci fossero le prime elezioni libere in una delle due camere del Parlamento. E così, nel giugno del 1989, i polacchi furono chiamati alle urne, scegliendo in massa i candidati di Solidarnosc. Era una prova lampante e definitiva dell’impopolarità del comunismo. Il nuovo papa, il polacco Karol Wojtyla, salito nel 1978 al soglio pontificio con il nome di Giovanni Paolo II, ricoprì un ruolo importante in questa così delicata fase della politica del paese. Egli, infatti, compì nove viaggi apostolici in Polonia, di cui cinque tra il 1979 e il 1991, caratterizzandosi come uno dei principali punti di riferimento politici e spirituali del movimento di Solidarnosc.

Uno stralcio di uno dei primi discorsi pubblici di Papa Wojtyla, nel quale citò esplicitamente il proprio paese di origine e pronunciò anche alcune frasi in polacco


 

Gli eventi polacchi innescarono una reazione a catena. Nel 1989, l’Ungheria decideva di aprire la frontiera con la limitrofa Austria e di consentire ai propri cittadini di espatriare. Veniva così abbattuta la lunghissima barriera di filo spinato che correva lungo il confine, intervallata da torrette di sorveglianza. In realtà, si trattava di un provvedimento di ben più ampia portata, perché sanciva ufficialmente una breccia nella cortina di ferro. Quindi, da praticamente tutti i paesi del blocco sovietico si sarebbe potuta raggiungere l’Ungheria e da lì entrare in Austria, per poi muoversi liberamente nell’Europa occidentale. L’opportunità fu colta soprattutto dai tedeschi della Germania Est, dato che di fatto veniva data loro l’opportunità di aggirare il muro di Berlino e il confine con l’Ovest. In poche settimane 13.000 cittadini tedeschi passarono la frontiera, palesando agli occhi del mondo l’insuccesso del modello comunista. Il governo della Germania Est si dimetteva e il 9 novembre 1989, per ordine delle nuove autorità, venivano abolite le restrizioni alla circolazione fra i settori di Berlino.

Era una data storica, poi ricordata come «la caduta del muro», dato che migliaia e migliaia di berlinesi si prodigarono per abbattere materialmente il simbolo del regime e della separazione fra Est e Ovest. L’evento fu vissuto con grande partecipazione in tutto il mondo, mentre la televisione mostrava le immagini di tedeschi in lacrime che riabbracciavano amici e parenti dopo decenni di forzata lontananza.

La caduta del muro di Berlino nei telegiornali italiani dell’epoca


 

Fu una grande scossa emotiva a tutto il sistema delle «democrazie popolari». In Cecoslovacchia, una serie di manifestazioni di piazza vedeva il ritorno sulla scena dei protagonisti della primavera di Praga. Aveva così inizio la «rivoluzione di velluto», ossia il rovesciamento del regime comunista in maniera non violenta e senza che quest’ultimo cercasse di reprimere la rivolta. Viceversa, in Romania, la fine della dittatura fu contraddistinta da gravi violenze, perpetrate soprattutto dall’esercito agli ordini del presidente Nicolae Ceausescu, che non voleva abbandonare il potere dopo oltre vent’anni di leadership. Il 25 dicembre 1989, Ceausescu era catturato, processato e giustiziato a colpi di kalashnikov da un plotone d’esecuzione.

Si trattava di eventi che aprivano idealmente gli anni novanta, durante i quali ci sarebbe stata la fine del socialismo reale in Europa, la dissoluzione dell’Urss, la riunificazione della Germania, e soprattutto l’introduzione della democrazia rappresentativa e dell’economia di mercato in tutti i paesi dell’Est.

Queste vicende si ripercossero anche sugli assetti politici dei paesi occidentali, dando nuovo fiato alle istanze neoliberiste e accelerando le crisi identitarie dei partiti che si definivano comunisti, tra i quali il Pci Il 12 novembre del 1989, il segretario Achille Occhetto annunciava la volontà di procedere con lo scioglimento del partito e di costruire una nuova compagine politica impegnata nelle lotte per il lavoro e collocabile a sinistra, ma priva di un cordone ombelicale con l’Urss, peraltro in disfacimento, e non appiattita sull’ideologia marxista.

La prima pagina del quotidiano comunista l’Unità, che dava conto della svolta della Bolognina
La prima pagina del quotidiano comunista l’Unità, che dava conto della svolta della Bolognina
In quella che passò alla storia come «svolta della Bolognina», perché il discorso fu pronunciato nell’omonimo quartiere popolare del capoluogo emiliano, furono poste le premesse per una riflessione – a tratti molto tormenta – che nel 1991, a Rimini, avrebbe portato il XX congresso del Pci a sancire la fine dell’esperienza comunista e la nascita del Partito democratico della sinistra (Pds), con segretario lo stesso Occhetto.

Una non trascurabile fetta di irriducibili non accettò la svolta e operò una scissione a sinistra, andando a costituire il Partito della rifondazione comunista (Prc), con segretario Sergio Garavini, a cui sarebbe poi seguito Fausto Bertinotti. Di lì a un anno l’intero mondo politico italiano sarebbe stato sconvolto da uno scandalo giudiziario, e cioè l’inchiesta Mani Pulite, nota soprattutto come Tangentopoli, che chiuse idealmente la prima Repubblica, aprendo una nuova stagione di confronti e dibattiti.

Percorsi didattici e letture

La produzione storiografica sugli anni ottanta è già molto nutrita. Per il contesto internazionale si segnala il volume di Federico Romero, Storia della guerra fredda: l’ultimo conflitto per l’Europa, Torino, Einaudi, 2009, mentre per quello italiano il libro di Marco Gervasoni, Storia d’Italia degli anni Ottanta: quando eravamo moderni, Marsilio, Venezia, 2010. Per temi più specifici, ma comunque cruciali per comprendere questo periodo, si indicano le seguenti monografie: David Harvey, Breve storia del neoliberismo, Milano, Il Saggiatore, 2007; Simona Colarizi, Marco Gervasoni, La cruna dell’ago: Craxi, il partito socialista e la crisi della Repubblica, Roma-Bari, Laterza, 2005; Giovanni Ciofalo, Infiniti anni Ottanta: tv, cultura e società alle origini del nostro presente, Milano, Mondadori, 2011.

La memorialistica legata agli anni ottanta è molto segmentata. Si è prevalentemente alimentata di storie legate a vicende musicali o di tossicodipendenza, ma anche di prosopografie imperniate su subculture collettive, come il punk, i paninari o il tifo organizzato. Si segnalano alcuni titoli più noti: Claude Olievenstein, Droga. Un grande psichiatra racconta trent’anni con i tossicodipendenti, Milano, Raffaello Cortina, 2001; Cass Pennant, Congratulazioni, hai appena incontrato la I.C.F. (West Ham United), Milano, Baldini Castoldi Dalai, 2004; Bruno Casini, Felici e maledetti. Che fine ha fatto Baby Jane? Moda e clubbing anni ottanta a Firenze, Civitella, Zona, 2011. Interessante e divertente anche la pubblicazione di Roberto Nardo, Il mio primo dizionario degli Anni 80, Padova, BeccoGiallo, 2014.

Infine il cinema. Oltre al già citato Rocky IV, interessante perché propagandistico, moltissimi altri film hanno raccontato gli anni ottanta. Tra gli altri The Day After – Il giorno dopo, di Nicholas Meyer (Usa, 1983), che gioca sulle paure di un conflitto nucleare; Amore tossico di Claudio Caligari (Italia, 1983), che racconta il mondo degli eroinomani; Paul, Mick e gli altri, di Ken Loach (Regno, Unito, Germania, Spagna, 2001), che si concentra sulle privatizzazioni in Gran Bretagna; Ultrà, di Ricky Tognazzi (Italia, 1991), che affronta il tema del tifo organizzato; Sposerò Simon Le Bon, di Carlo Cotti (Italia, 1986), che ci offre uno spaccato della cosiddetta Milano da bere e dei paninari; Il portaborse, di Daniele Luchetti (Italia, 1991), sulla corruzione nella politica italiana dell’epoca. Per approfondire sul cinema degli anni ottanta, cfr. Anni Ottanta: quando tutto cominciò... Realtà, immagini e immaginario di un decennio da ri-vedere, a cura di Paolo Mattera e Christian Uva, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2012.


Bibliografia

  • Casini Bruno, Felici e maledetti. Che fine ha fatto Baby Jane? Moda e clubbing anni ottanta a Firenze, Civitella, Zona, 2011

  • Ciofalo Giovanni, Infiniti anni Ottanta: tv, cultura e società alle origini del nostro presente, Milano, Mondadori, 2011

  • Colarizi Simona, Gervasoni Marco, La cruna dell’ago: Craxi, il partito socialista e la crisi della Repubblica, Roma-Bari, Laterza, 2005

  • Gervasoni Marco, Storia d’Italia degli anni Ottanta: quando eravamo moderni, Marsilio, Venezia, 2010

  • Harvey David, Breve storia del neoliberismo, Milano, Il Saggiatore, 2007

  • Mattera Paolo, Uva Christian, Anni Ottanta: quando tutto cominciò... Realtà, immagini e immaginario di un decennio da ri-vedere, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2012

  • Nardo Roberto, Il mio primo dizionario degli Anni 80, Padova, BeccoGiallo, 2014

  • Olievenstein Claude, Droga. Un grande psichiatra racconta trent’anni con i tossicodipendenti, Milano, Raffaello Cortina, 2001

  • Pennant Cass, Congratulazioni, hai appena incontrato la I.C.F. (West Ham United), Milano, Baldini Castoldi Dalai, 2004

  • Romero Federico, Storia della guerra fredda: l’ultimo conflitto per l’Europa, Torino, Einaudi, 2009


Filmografia

  • The Day After – Il giorno dopo, di Nicholas Meyer (Usa, 1983)
  • Amore tossico, di Claudio Caligari (Italia, 1983)
  • Paul, Mick e gli altri, di Ken Loach (Regno, Unito, Germania, Spagna, 2001)
  • Ultrà, di Ricky Tognazzi (Italia, 1991)
  • Sposerò Simon Le Bon, di Carlo Cotti (Italia, 1986)
  • Il portaborse, di Daniele Luchetti (Italia, 1991)

Risorse in rete