L'Emilia-Romagna di fronte alla violenza politica e al terrorismo:
storia, didattica, memoria

Studi di caso
Banda della Uno bianca

di Alberto Gagliardo

Banda della Uno bianca

Introduzione

Dal 19 Giugno 1987 al 21 Novembre 1994 una banda criminale, denominata a partire dal 1991 “banda della Uno bianca” in ragione del tipo di auto usate per svolgere le proprie attività criminose, seminò il terrore in cinque province (secondo la denominazione e la ripartizione dell’epoca) comprese tra l’Emilia Romagna e le Marche (Bologna, Forlì, Ravenna, Pesaro, Ancona).

Secondo il Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato (SCO) in circa sette anni e mezzo di attività criminale la “banda della Uno bianca” ha causato, nel contesto delle ben 103 azioni criminali compiute [1], 24 morti [2] e 102 feriti.

Ma la cosa che rende la sua vicenda un unicum nella storia del nostro Paese è il fatto che i suoi componenti fossero, tranne uno, tutti membri della polizia di Stato. 

I componenti

La banda della uno bianca: i componenti


 

Capo indiscusso della banda fu Roberto Savi, all’epoca assistente capo della Questura di Bologna, presso la cui centrale operativa svolgeva il servizio di operatore radio.

Suoi complici furono i fratelli Fabio, artigiano ed autotrasportatore, e Alberto (detto Luca), poliziotto che prestava servizio presso la Questura di Rimini. Ai tre fratelli Savi, in momenti e con responsabilità diverse, si aggiunsero Pietro Gugliotta (operatore radio alla questura di Bologna), Marino Occhipinti (vice-sovrintendente della sezione narcotici della Squadra mobile della Questura di Bologna e consigliere provinciale del Sap - Sindacato autonomo di polizia) e Luca Vallicelli (all’epoca agente scelto presso la sezione Polizia Stradale di Cesena - CAPS).

I fatti

La vicenda criminale della “banda Savi” (così pare più giusto chiamarla all’inizio, poiché ad agire sono solo i tre fratelli, che utilizzano la Fiat Regata di Alberto) inizia con una rapina al casello autostradale di Pesaro [3]: è il 19 Giugno 1987.

Fino al 5 Settembre 1987, in soli 47 giorni, il terzetto mette a segno 12 rapine, tutte ai danni di caselli autostradali della A14 [4] con l’unica eccezione della rapina all’ufficio postale di Coriano (RN) dell 24 Luglio 1987 (lo stesso giorno della rapina al casello di Ancona). L’unico di questi episodi che provocò un ferito fu quello della rapina al casello di San Lazzaro del 31 Agosto.

A partire da quella data si assiste ad un salto di qualità dell’attività criminale dei Savi, i quali iniziano a rivolgere le proprie attenzioni ad uffici postali [5] e supermercati [6]. Tuttavia nelle attività criminali di questo biennio (dal Settembre 1987 al Dicembre 1989), in cui vengono messi a segno colpi ai danni di supermercati e uffici postali, non mancano isolati episodi di rapine a caselli autostradali [7], un tentativo di estorsione ai danni di un autosalone di Rimini ed un attacco a una pattuglia di carabinieri avvenuto il 20 Aprile 1988 a Castelmaggiore (BO) che causò due vittime. Tra il 12 Novembre 1988 (Coop di Pesaro) e il 1 Dicembre 1989 (supermercato di Bologna), s’inscrive invece la rapina alla Coop bolognese di via Gorki (26 Giugno 1989).

Tale salto di qualità non riguarda unicamente la scelta degli obiettivi ma anche l’innalzamento del livello di fuoco, che comincia a causare i primi feriti e i primi morti: nel 1990 quattro episodi (tre dei quali nel solo mese di Dicembre), tutti avvenuti a Bologna, si distinguono nettamente dai precedenti in quanto estranei alle logiche di bottino che avevano caratterizzato le attività dei Savi fino ad allora: il 2 Gennaio essi feriscono un immigrato tunisino; il 10 Dicembre assaltano il campo nomadi di Santa Caterina di Quarto ferendo 9 persone; il 22 dello stesso mese sparano contro dei lavavetri extracomunitari, ferendone due; il giorno dopo si producono in un assalto al campo nomadi di via Gobetti, uccidendo 2 persone e ferendone altrettante.

Questa nuova linea razzista e terrorista

Apertura dell’Unità del 19/8/1991
Apertura dell’Unità del 19/8/1991
si conferma anche nell’anno successivo: il 18 Agosto 1991, a San Mauro Mare, i Savi tendono un agguato ad un’auto con tre senegalesi a bordo, uccidendone due e ferendo il terzo. Nella vicenda rimangono coinvolti anche altri tre ragazzi che avevano imprecato loro contro allorquando l’auto della banda aveva loro tagliato la strada nei pressi di San Vito (FO): ne sono seguiti un inseguimento ed una sparatoria che li lascia tuttavia illesi.

L’attività della banda consta in questo frangente prevalentemente di rapine, principalmente ai danni di distributori [8], ma anche di supermercati [9],di aree di servizio lungo la A14 [10], di caselli autostradali sempre dell’A14 [11], uffici postali [12] e, obiettivo sin ad allora mai contemplato, le banche [13].

Il nuovo volto terroristico dei Savi, emerso nella fase precedente, si conferma in alcuni scontri a fuoco con le forze dell’ordine. Dei tre episodi che caratterizzarono questa svolta è il primo quello che lascia il segno più profondo: la sera del 4 Gennaio 1991 nel quartiere bolognese del Pilastro, i Savi attaccano una pattuglia dei Carabinieri, che, a detta dei criminali, ebbe la sola colpa di essersi trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato.

 

A 25 anni della strage del Pilastro


 

Le vittime della strage del pilastro: Mauro Mitilini, Andrea Moneta, Otello Stefanini
Le vittime della strage del pilastro: Mauro Mitilini, Andrea Moneta, Otello Stefanini
Sotto un volume di fuoco impressionante rimangono a terra i cadaveri di tre giovanissimi militari: Otello Stefanini, Andrea Moneta, Mauro Mitilini. Gli altri due scontri avvengono il 30 Aprile a Rimini (l’attacco a una pattuglia di Carabinieri provoca 3 feriti) e il 28 Agosto a Gradara (PS): anche questa volta nello scontro a fuoco due poliziotti rimangono feriti.

Il 2 Maggio 1991 Roberto e Fabio Savi assaltano un’armeria in via Volturno a Bologna, lasciandosi dietro i cadaveri della proprietaria (Licia Ansaloni) e del carabiniere in pensione che vi era impiegato (Pietro Capolungo). Il bottino sono 2 pistole Beretta calibro 9.

I tre anni successivi della vita della banda (1992, 1993, 1994) sono caratterizzati da un cospicuo numero di furti presso banche [14]: l’ultima rapina è del 21 Ottobre 1994 a Bologna; probabilmente i Savi stanno già lavorando a un nuovo colpo, ma non riescono a portarlo a compimento, perché scoperti da due poliziotti riminesi: Luciano Baglioni e Pietro Costanza.

Le indagini

All’inizio si stentò a riconoscere un unico gruppo criminale dietro i vari delitti (diversi tra loro per obiettivi, risultati, metodi), come dimostrano anche i nomi dati all’epoca ai responsabili: banda dei caselli, banda della regata, banda delle coop, banda della uno bianca. E l’evoluzione degli obiettivi e delle tecniche criminali della banda nel corso degli anni favorì tale confusione.

articolo comparso su “La Stampa” il 16 Gennaio 1990
articolo comparso su “La Stampa” il 16 Gennaio 1990
Accanto a questa incertezza se ne aggiunse un’altra relativa alla interpretazione delle finalità criminali: balordi locali, criminalità organizzata, terrorismo.

Inoltre agirono in questa stessa direzione alcuni episodi ambigui, come il depistaggio messo in atto dal brigadiere Domenico Macauda, che attribuì la responsabilità dell’eccidio di Castel Maggiore (in cui morirono i giovani carabinieri Erriu e Stasi) a Emidio Testoni, abitante al Pilastro, in un contesto di raffinazione di eroina che vedeva coinvolti il capoclan catanese Benedetto (Nitto) Santapaola e i suoi luogotenenti Sebastiano Ercolano e Francesco Mangion [15].

Questo tentativo di depistaggio, quand’anche si accetti la versione di Macauda, che disse di averlo messo in atto per carrierismo, si inserisce in un contesto organico di confusione, se non di veri depistaggi, creati ad arte. Ad esempio quella di nascondere o simulare coinvolgimenti della mafia catanese fu un’attività messa in campo dai fratelli Savi in numerose occasioni. Ma a tener fuori l’ipotesi che i Savi colludessero con ambienti mafiosi fu anche l’illusione che il fenomeno mafioso fosse estraneo alla realtà storica, economica e sociale dell’Emilia Romagna.

L’appartenenza poi dei colpevoli alle forze dell’ordine rese più difficile il corretto indirizzo delle indagini, anche se non mancarono eccezioni: il PM di Rimini Roberto Sapio intuì da subito che si trattava di persone con una grande esperienza di armi e appartenenti al territorio, tanto che già il 19 Agosto 1991, dopo l’uccisione dei due senegalesi, in una dichiarazione al «Carlino» affermò: «Chi la impugna [l’arma], spara alla perfezione e ha una conoscenza della zona superiore al pericolo che corre»; altrove: «Si tratta di persone che indossano una divisa o che, all’occorrenza, possono mostrare un tesserino».

Neanche la parcellizzazione delle inchieste tra diverse procure e diversi corpi investigativi favorì la buona ed efficace riuscita delle indagini. Una prima svolta si ebbe il 21 Agosto 1991, quando il procuratore generale della Repubblica di Bologna, Gino Paolo Latini, fu autorizzato dai vertici della Polizia a creare un nucleo speciale investigativo sulla Uno bianca. A guidarlo furono chiamati Gaetano Chiusolo, dirigente della Criminalpol di Bologna, e Vincenzo Murgolo, vice dirigente della Digos bolognese. Dopo un iniziale insediamento a Rimini, la sede prescelta fu Riccione, dove una ventina di uomini vennero messi a lavorare a tempo pieno sulla revisione di tutti i materiali investigativi prodotti fino a quel momento. Ma il nucleo fu sciolto a poco più di un mese dalla sua costituzione, l’8 Ottobre 1991.

Così abbiamo preso il traditore
Così abbiamo preso il traditore
Un nuovo tentativo fu fatto il 20 Gennaio 1994, con l’arrivo a Rimini del sostituto procuratore Daniele Paci, che chiese l’assegnazione del fascicolo Uno bianca e successivamente l’attivazione di un pool interforze che si occupasse a tempo pieno del caso, che iniziò la propria attività il 16 Gennaio. Il dirigente della questura riminese, Capocasa, indicò i nomi di Luciano Baglioni e Pietro Costanza, che rivalutarono tutte le strade investigative percorse. A causa dei costi e della mancanza di risultati, come nella precedente occasione, il pool venne sciolto in Ottobre, ma i due poliziotti riminesi continuarono a lavorare sul caso per non vanificare gli sforzi prodotti da esso profusi.

Baglioni e Costanza, incrociarono i dati raccolti, lavorando autonomamente e studiando il modus operandi della banda. Il 3 Novembre 1994, nel corso di un appostamento davanti al Credito Romagnolo di Santa Giustina (RN), riuscirono finalmente ad intercettare un sospetto che si rivelò essere Fabio Savi, la cui immagine riconobbero nel fotogramma ricavato da una registrazione della rapina del 25 Novembre 1991 in una filiale della Banca Popolare di Cesena.

Gli arresti

Roberto Savi venne arrestato la sera del 21 Novembre 1994 mentre era in servizio nella Questura di Bologna, su disposizione della Questura di Rimini; suo fratello Fabio il 24 Novembre, a 22 km dal confine con l’Austria, mentre era assieme alla compagna Eva Mikula; Alberto Savi e Pietro Gugliotta il 26 Novembre; il 29 Marino Occhipinti e Luca Vallicelli.

L’arresto di Fabio Savi
L’arresto di Fabio Savi

La cattura di Alberto Savi e Pietro Gugliotta
La cattura di Alberto Savi e Pietro Gugliotta

“Ora la banda è annientata”
“Ora la banda è annientata”

 

I processi

I componenti della banda sono stati tutti arrestati, processati e condannati.

Sui fatti che li videro coinvolti si sono svolti tre processi in Corte d’Assise (Pesaro, Rimini, Bologna), che si sono conclusi il 6 Marzo 1996 con la condanna a tre ergastoli per ciascuno dei fratelli Savi, un ergastolo a Marino Occhipinti, 28 anni di carcere (tramutati poi in 18) per Pietro Gugliotta.

I fratelli Savi al processo di Rimini
I fratelli Savi al processo di Rimini
Luca Vallicelli, componente minore della banda, ha patteggiato una pena di 3 anni e 8 mesi.

Dopo 14 anni di reclusione, nell’Agosto 2008, Pietro Gugliotta è stato messo in libertà grazie all’indulto e alla legge Gozzini.

Nell’ambito del processo alla banda, venne inoltre stabilito che lo Stato versasse ai parenti delle 24 vittime 19 miliardi di lire.

Il 30 Marzo 2010, con un decreto motivato del tribunale di sorveglianza, Marino Occhipinti, dopo 16 anni di detenzione, usufruisce di un primo permesso premio di 5 ore; il 9 Gennaio 2012 viene posto in semilibertà dal Tribunale di Venezia e lavora di giorno presso una cooperativa sociale di Padova.

Ergastolo ai tre Savi
Ergastolo ai tre Savi
L’arresto dei Savi, inoltre, determina l’attivazione di una commissione ministeriale d’inchiesta amministrativa, affidata all’allora vice-capo della polizia, il prefetto Achille Serra (la cui Relazione fu resa pubblica nel Gennaio 1995), e una indagine politica affidata alla «Commissione parlamentare sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle strag

Questa Commissione bicamerale il 1° Febbraio 1995 scelse come suo consulente il magistrato Antonio Di Pietro, il quale già il 18 Aprile successivo consegnò i risultati della sua inchiesta, dove concluse che non erano emerse contiguità della banda Uno bianca con ambienti terroristici o eversivi.

Le tesi interpretative

Molto è stato detto e scritto sulla storia di questa vicenda criminale che, sebbene sia giunta ad una verità giudiziaria definitiva, conserva coni d’ombra nei quali hanno potuto proliferare differenti tesi interpretative. Esse si possono sostanzialmente suddividere in due filoni: da un lato, quello di quanti leggono la vicenda dei Savi come quella di una impresa criminale a natura famigliare, il cui scopo esclusivo era il lucro; dall’altro, quello di quanti interpretano le incongruenze delle loro ricostruzioni come la prova di un coinvolgimento attivo di altre figure e altre entità.

La prima linea interpretativa discende dalla piena attribuzione di credibilità alle confessioni dei Savi che si possono efficacemente sintetizzare con la risposta da Fabio Savi alla domanda «Cosa c’è dietro la Uno bianca?»: «Dietro la Uno bianca ci sono solo la targa, i fanali e il paraurti». I Savi, infatti, hanno sostanzialmente sostenuto che il loro scopo fosse unicamente quello di procurarsi danaro. I sostenitori di questa linea ( dal PM riminese Daniele Paci al consulente della Commissione stragi Antonio Di Pietro fino al giornalista Massimiliano Mazzanti) interpretano le incongruenze di molte delle loro ricostruzioni con la tesi che i Savi dichiarassero di volta in volta ai giudici quello che ritenessero fosse funzionale al miglioramento della loro posizione processuale. In tale ottica, la variabilità e la varietà dei metodi da loro adottati si spiega sia con la necessità di non essere individuati, sia con l’obiettivo di stressare il tessuto sociale per avere maggiore facilità di risultato nelle azioni successive.

Ma come si conciliano con questa immagine di banda criminale dedita esclusivamente al bottino gli assalti ai lavavetri, ai campi rom di Santa Caterina di Quarto e di via Gobetti a Bologna, ai tre operai senegalesi? Come si concilia con questa immagine di banda “fatta in casa” il fatto che nel giro di poco tempo essa sia passata da dilettanteschi furti a caselli autostradali a sofisticati assalti a furgoni portavalori? Per questi ed altri motivi, molti (come Libero Gualtieri, Giovanni Spinosa, Claudio Nunziata e il giornalista Sandro Provvisionato) ritengono che i Savi mentano e che dunque una consistente parte di verità della loro storia sia ancora da scoprire, tesi che però implicherebbe la complicità di soggetti terzi.

Ma allora chi starebbero proteggendo i Savi? A questa domanda cercano di dare risposta due interpreatzioni: la prima è che la banda avrebbe agito in combutta con altri soggetti, ma che la sua attività rimarrebbe inscrivibile all’interno di fatti di criminalità, ancorché “organizzata” (emergono su tutti, i sospetti di collegamenti con la mafia catanese o con la criminalità casertana); la seconda che la banda sarebbe stata eterodiretta da apparati deviati dello Stato, interessati alla collaborazione con un commando di insospettabili capaci di terrorizzare città e regioni storicamente a maggioranza di sinistra.

L’ombra dei servizi segreti
L’ombra dei servizi segreti
In particolare il senatore Libero Gualtieri, membro della Commissione stragi (oltre che suo Presidente durante l’XI legislatura), evidenziò le inquietanti somiglianze tra la vicenda della banda Savi e quella del Brabante Vallone in Belgio [16], i cui membri agivano all’interno delle logiche Stay Behind.

È poi stata messa in evidenza la loro educazione di marca fascistoide (Giuliano Savi era iscritto al Msi e Roberto frequentò per qualche tempo il Fdg), e la somiglianza di obiettivi e comportamenti con certe azioni compiute dai neofascisti di Terza Posizione e della galassia nera romana tra il 1978 e il 1979.

Le azioni della banda sono poi state oggetto di rivendicazioni diverse, come ad esempio quelle dei Disoccupati Italiani Nazionalisti; ma le più significative furono quelle effettuate dalla sigla Falange Armata 

Terroristi in divisa
Terroristi in divisa
che tra il 27 Ottobre 1990 e il 1994 avocò a sé la responsabilità di numerosissimi fatti criminali: in particolare è stato calcolato che su 500 telefonate di questa fantomatica organizzazione 221 riguardarono vicende connesse alla Uno bianca.

Lo stesso senatore Gualtieri (21 giugno 1991) e il PM riminese Sapio, coinvolti a diverso titolo nelle inchieste sulla banda, ricevettero da questa sigla minacce di morte.

Ulteriore riprova della ipotesi della presenza dietro i Savi di un livello oscuro ma potente di forze e intelligenze, starebbe nelle coperture di cui essi godettero per sette lunghi anni, e che solo allo sguardo “benevolo” della Relazione Serra poterono sembrare lunghe sequenze di conflitti interni all’amministrazione dell’ordine pubblico o meri errori investigativi.

Un’ipotesi particolarmente suggestiva, che ha il pregio di tenere insieme pressoché tutte queste chiavi, l’ha proposta il giudice Giovanni Spinosa, secondo il quale la banda Savi sarebbe solo uno dei volti del fenomeno Uno bianca, al quale parteciparono, e con cui interagirono, altri soggetti criminali ed eversivi – che proprio in quegli anni in Italia si muovevano secondo strategie parallele se non comuni.

Il contesto storico

Quello della Uno bianca, infatti, fu un fenomeno criminale di natura complessa e stratificata, che operò in anni (1987-1994) in cui la situazione politica italiana ed internazionale erano decisamente instabili e soggette a rapide e repentine trasformazioni.

Dal punto di vista della politica interna in poco più di sette anni in Italia si succedettero ben otto governi e nove ministri dell’interno; furono gli anni del cosiddetto CAF (accordo PSI-DC: Craxi-Andreotti-Forlani) e della sua fine [17]; della fine del PCI e della sua trasformazione in PDS; della nascita della Lega Nord e di Forza Italia [18].

Il presidente della Repubblica Francesco Cossiga (1985-1992) ed il suo successore Oscar Luigi Scalfaro (1992-1999) da una parte e la magistratura dall’altra giunsero ad un elevato livello di scontro [19], cui non fu estranea l’emersione della torbida vicenda Gladio [20] che Cossiga rivendicò totalmente.

L’economia registrò tassi di sconto intorno al 13- 14% e un’inflazione al 6-7%; addirittura il 12 settembre 1992 la lira venne svalutata del 7%, in seguito a una serie di speculazioni finanziarie e al fallimento dei tentativi di difenderla, e iniziò a fluttuare liberamente, finché il 17 settembre 1992 essa uscì dal Sistema monetario europeo (SME).

Il terrorismo brigatista, sebbene nella fase terminale della sua parabola, menava ancora mortali colpi di coda [21] mentre la mafia, oltre a proseguire la sua catena di delitti eccellenti, conobbe una evoluzione stragista [22] contro la quale lo Stato mise a segno alcuni duri colpi [23].

Con il primo sbarco (2 marzo 1991) iniziò un grande esodo di profughi albanesi in Puglia (in tutto il mese saranno ben 20.000 a sbarcare) che diede il via ad una nuova stagione di forti flussi migratori verso il nostro Paese.

A livello internazionale si assistette ad epocali trasformazioni geopolitiche: il 9 Novembre 1989 vennero aperte le frontiere con la Germania Federale, e a Berlino durante la notte la popolazione iniziò ad abbattere il muro che divideva in due la città; il 2 Agosto 1990 le truppe dell’Iraq invasero il Kuwait, fatto da cui sarebbero scaturite due guerre del Golfo e una profonda instabilità geopolitica dell’area mediorientale; il 26 Dicembre 1991 l’URSS venne ufficialmente sciolta; il 13 Gennaio 1992 il Vaticano fu il primo Stato a riconoscere la Slovenia e la Croazia, preludio alla guerra balcanica; il 7 Febbraio 1992 i paesi membri della CEE firmarono il trattato di Maastricht; il 3 Dicembre 1992 venne approvato l’invio di un contingente italiano per partecipare in Somalia all’operazione ONU Restore hope e il 13 Dicembre 1992 giunse a Mogadiscio il primo contingente militare italiano, composto da 2.000 uomini; il 1° Gennaio 1993 venne costituita l’Unione Europea (UE), e vennero soppresse le barriere doganali; il 1° Novembre 1993 entrò in vigore il Trattato di Maastricht, e nacque ufficialmente l’Unione Europea.

La storia della Uno bianca è completamente inscritta in questo quadro d’incertezze, rivolgimenti e violenze e, quale ne sia la lettura corretta, ne costituisce un tassello non secondario.

 


Note

1. 1 tentata estorsione; 11 attacchi violenti al solo scopo di uccidere; 91 tra rapine e tentate rapine così suddivise per tipologia: 22 banche; 22 caselli autostradali; 20 distributori di carburante; 15 supermercati di cui 9 della Coop; 9 uffici postali; 2 furti di autovetture; 1 tabaccheria

2. 6 tra carabinieri ed ex carabinieri; 3 pensionati; 2 nomadi; 2 operai extracomunitari; 2 guardie giurate; 2 benzinai; 1 poliziotto; 1 commerciante; 1 artigiano; 1 dirigente d’azienda; 1 fattorino; 1 elettrauto; 1 direttore di banca

3. Bottino £ 1.300.000

4. 26 Giugno - Riccione: £ 2.400.000; 2 Luglio - Cesena: £ 2.500.000; 2 Luglio - Rimini: £ 2.400.000; 6 Luglio San Lazzaro (BO): £ 4.278.000; 18 Luglio - Riccione: £ 5.000.000; 24 Luglio - Ancona: £ 5.530.000; 27 Luglio - San Lazzaro-(BO): £ 3.515.000; 4 Agosto - Rimini: £ 6.462.000; 13 Agosto - Riccione: £ 2.000.000; 31 Agosto - San Lazzaro-(BO): nulla; 5 Settembre – Cesena: £ 2.200.000

5. 17 Settembre - San Vito-FO: £ 3.500.000; 11 Novembre - Idice-BO: nulla; 14 Dicembre - Idice-BO: nulla

6. 21 Novembre – Coop Cesena: £ 78.000.000, 1 ferito; 31 Gennaio 1988 – Coop Rimini: nulla, 1 morto e 6 feriti; 19 Febbraio – Coop Casalecchio-Bo: nulla, 1 morto e 3 feriti; 24 Maggio – centro commerciale Casteldebole-BO: £ 20.000.000; 19 Settembre – Coop Forlì: nulla, 3 feriti; 13 Ottobre – Coop Bologna: £ 100.000.000, 2 feriti; 12 Novembre – Coop Pesaro: £ 159.500.000; 26 Giugno 1989 - Coop Bologna: £ 30.000.000, 1 morto; 1 Dicembre – supermercato Bologna: £ 27.000.000

7. 1988: 4 Febbraio - San Lazzaro-BO: £ 3.916.000; 13 Agosto - Cattolica: £ 2.900.000; 14 Agosto - Cesena: £ 3.300.000

8. 15 Gennaio – Pianoro-BO: £ 700.000, 1 ferito; 20 Aprile - Borgo Panigale-BO: nulla, 1 morto; 5 Maggio - Sant'Arcangelo-FO: nulla; 6 Maggio - Cattolica: £ 4.100.000; 12 Maggio – Gabicce-PS: £ 2.480.000; 26 Maggio - Rimini: £ 5.000.000; 1 Giugno - Cesena: nulla; 8 Giugno - San Mauro di Cesena: nulla; 15 Giugno - Torre Pedrera di Rimini: £ 400.000; 19 Giugno – Gabicce-PS: £ 1.000.000; 19 Giugno - Cesena: nulla, 1 morto; 20 Giugno - Cesenatico: nulla; 25 Giugno - Riccione: £ 1.000.000

9. 18 Gennaio – Foscherara-BO: nulla

10. 5 Maggio - Riccione: £ 3.448.000

11. 4 Aprile - Rimini: £ 2.313.000; 25 Aprile - Riccione: £ 420.000

12. 5 Luglio - San Lorenzo di Riccione: nulla; 13 Luglio - Morciano di Romagna: agguato “punitivo” contro il direttore dell’ufficio postale di San Lorenzo di Riccione: 2 feriti; 15 Luglio - Cesena: nulla; 9 Agosto - Rimini: nulla, 1 ferito; 28 Agosto - Santa Maria delle Fabbrecce-PS: £ 7.700.000

13. 4 ottobre - Castel San Pietro Terme-BO: £ 66.745.000; 25 Novembre - Cesena: £ 138.703.570

14. Il 24 Febbraio 1992 la Carimonte di Bologna: £ 301.852.000; il 10 Agosto il Credito Romagnolo di Cesena: nulla, 1 ferito; il 26 Agosto la Cassa Risparmio di Casalecchio: £ 160.000.000; il 23 Ottobre la Cassa di Risparmio di Bologna: £ 50.000.000; il 24 Febbraio 1993 il Credito Romagnolo di Zola Predosa (Bo): £104.000.000, 1 morto; il 10 Maggio la Cassa di Risparmio di Bologna: £ 83.397.275; il 5 Luglio il Credito Romagnolo di Cesena: £38.000.000; il 7 Ottobre la Cassa di Risparmio di Riale-BO: nulla, 1 morto e 2 feriti; il 12 Ottobre la Banca di Roma a Bologna: £ 84.675.728; il 27 Ottobre la Cassa Risparmio a Bologna: £ 30.000.000; il 26 Novembre - Rimini: rapina Cassa Risparmio a Rimini: £ 89.560.746; il 14 Gennaio 1994 il Credito Romagnolo a Coriano di Rimini: £ 40.000.000, 2 feriti; il 20 Gennaio la Cassa di Risparmio a Bologna: £ 83.000.000; il 3 Marzo la Banca Cooperativa di Imola a Bologna: nulla, 2 feriti; il 21 Marzo la Banca Popolare dell’Emilia Romagna a Cesena: nulla; il 31 Marzo il Credito Romagnolo a Forlì: £ 70.000.000; il 24 Maggio la Cassa Risparmio a Pesaro: nulla, 1 morto; il 7 Luglio il Credito Romagnolo a Ravenna: £ 57.000.000; il 6 Settembre la Banca Popolare Adriatica a Bologna: £ 130.000.000; il 21 Ottobre la Banca Nazionale dell’Agricoltura a Bologna: nulla, 2 feriti.

15. Per questa vicenda il brigadiere Macauda nel 1988 è stato condannato a otto anni di reclusione

16. La banda del Brabante Vallone condusse 16 azioni terroristiche nei supermercati che provocarono la morte di 28 persone ed il ferimento di altre 25, prima di sparire nel nulla. Le auto usate, tra cui una onnipresente Volkswagen Golf, venivano guidate con una tecnica che si apprende negli addestramenti militari, simile a quella adottata dalla banda della Uno Bianca in almeno un’occasione. La banda belga usava armi automatiche e d’assalto come quelle in dotazione alle unità speciali delle forze NATO, senza lasciare bossoli, come spesso fece la banda della Uno Bianca. Le modalità operative dei componenti della banda, che indossavano tute mimetiche, e con i volti travisati da maschere di carnevale, era tipica dei commando delle unità speciali antiterrorismo, come la banda della Uno Bianca che ha condotto alcuni assalti con una tecnica definita Pirate Mammoth Sniper. La ferocia con cui la cellula del Brabante Vallone si è accanita sulle vittime non era giustificata dai bottini, piuttosto magri. Tra le testimonianze sulle caratteristiche fisiche dei componenti della banda, la stampa belga si focalizzò su un uomo, definito “il Gigante”, alto un metro e novanta, freddo e estremamente professionale, che dava gli ordini agli altri mentre sparava con un fucile Spas 12 prodotto in Italia, una somiglianza con uno dei membri della banda della Uno Bianca, il “Lungo”.
Le indagini della commissione d’inchiesta istituita dal parlamento belga sulla banda del Brabante Vallone, si scontrarono anche qui con le incredibili omissioni della polizia, oltre che con le resistenze di strutture militari che in seguito si apprese facevano parte della operazione Stay Behind di quel paese, e conclusero che «le stragi del Brabante erano state opera di governi stranieri o di servizi segreti che lavoravano per gli stranieri, un terrorismo volto a destabilizzare una società democratica».

17. 17 dicembre 1992 una folla di cittadini a Milano contesta Bettino Craxi e grida “Ladro, buffone, scemo!”; 27 marzo 1993 Giulio Andreotti riceve un avviso di garanzia da Palermo per concorso esterno in associazione mafiosa.

18. 10 luglio 1993 si svolge ad Arcore una riunione segreta dei vertici della Fininvest per analizzare il progetto di costituzione di un nuovo partito.

19. 16 novembre 1991 Cossiga minaccia l’invio della forza pubblica contro il CSM, perché l’organo si era auto convocato su un ordine del giorno respinto da Cossiga; il 19 il CSM si appella al Parlamento; il 21 il PDS richiede la messa sotto accusa per attentato alla costituzione di Cossiga.

20. 27 luglio 1990 il magistrato Felice Casson scopre l’elenco dei membri dell’organizzazione Gladio.

21. Il 20 marzo 1987 viene ucciso a Roma dall’Unione comunisti combattenti il generale dell’aeronautica Licio Giorgieri; il 16 aprile 1988 le BR uccidono a Forlì il senatore democristiano Roberto Ruffilli, collaboratore del presidente del consiglio De Mita.

22. Il 14 settembre 1988 vengono uccisi a Trapani l’ex giudice Alberto Giacomelli e il figlio; 25 settembre 1988 sulla strada da Canicattì a Palermo vengono assassinati il presidente di Corte d’Appello di Palermo Antonio Saetta e il figlio Stefano; 26 settembre 1988 viene ucciso, in un centro per tossicodipendenti che dirige a Valderice (TP), il giornalista ed ex leader di Lotta Continua Mauro Rostagno; 12 marzo 1992 viene assassinato a Palermo il politico democristiano Salvo Lima; 23 maggio 1992 vengono uccisi da un attentato mafioso, a Capaci, lungo la strada tra l’aeroporto e Palermo, Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta Rocco Di Cillo, Antonio Montinari e Vito Schifani; 19 luglio 1992 viene ucciso a Palermo, in via D'Amelio, il magistrato Paolo Borsellino con gli agenti della scorta Agostino Catalano, Walter Cusina, Vincenzo Li Muli, Emanuela Loi e Claudio Traina; 14 maggio 1993 a Roma, esplode un’autobomba in via Fauro al passaggio dell'auto con a bordo il conduttore televisivo Maurizio Costanzo; 26-27 maggio 1993 durante la notte vi è un attentato in Via Georgofili vicino al Museo degli Uffizi a Firenze, muoiono cinque persone; 27-28 luglio 1993 durante la notte vi un attentato a Milano e due a Roma: in via Palestro, a Milano, muoiono 3 persone, nella capitale invece obiettivo degli attentatori sono le chiese di San Giorgio al Velabro e San Giovanni in Laterano; 14 aprile 1994 il fallito attentato di via Formello chiudeva improvvisamente il decennio stragista di Cosa nostra.

23. 15 gennaio 1993 viene arrestato a Palermo, dal generale dei carabinieri Francesco Delfino, il boss mafioso Salvatore Riina, detto Totò, dopo più di un decennio di latitanza nel centro di Palermo