L'Emilia-Romagna di fronte alla violenza politica e al terrorismo:
storia, didattica, memoria

Studi di caso
L’omicidio del Professor Marco Biagi

di Alessandro Calissi

L’omicidio del Professor Marco Biagi

L’ATTENTATO


Bologna, 19 marzo 2002. Marco Biagi, professore di diritto del lavoro e consulente del Ministero del Lavoro, sta rientrando da Modena dove ha tenuto lezione all’università. Dalla stazione ferroviaria con la sua bicicletta percorre le vie del centro di Bologna verso via Valdonica, dove vive con la moglie e i due figli. Ad aspettarlo davanti al portone di casa, però, due persone armate pronte a ucciderlo. Sono da poco passate le otto di sera. Cinque dei sei colpi di pistola esplosi raggiungono Marco Biagi, ferendolo a morte. Mentre i soccorsi e le forze dell’ordine si precipitano sul posto, gli assassini si ritirano come pianificato, facendo perdere le loro tracce. Due giorni dopo, il 21 marzo, viene diffuso, via e-mail, un comunicato di rivendicazione:
«Il giorno 19 marzo 2002 a Bologna, un nucleo armato della nostra Organizzazione, ha giustiziato Marco Biagi[…]», firmato: Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente.

 

IL CONTESTO STORICO


Gli anni a cavallo tra la fine del “secolo breve” e l’inizio del nuovo millennio rappresentarono per l’Italia e per il mondo occidentale un importante spartiacque sotto molteplici aspetti, tanto nel contesto politico nazionale e internazionale quanto nelle dimensioni economica e sociale. La conclusione del bipolarismo USA-URSS, con la vittoria ideologica e politica del fronte occidentale e neoliberista alla fine della cosiddetta guerra fredda, andava ormai di pari passo con l’intensificarsi degli effetti della globalizzazione economica e culturale sugli stili di vita e di consumo.

 

NatGeo: “Gli anni ‘90”


Lo sviluppo esponenziale delle telecomunicazioni, segnato dalla diffusione di cellulari e internet, rendevano il mondo interconnesso in una misura impensabile solo dieci anni prima.

Eppure il periodo di transizione verso il nuovo millennio non era certo stato tranquillo. L’apparato politico-istituzionale era stato profondamente scosso dallo scandalo Tangentopoli e dall’inchiesta Mani Pulite: Rai, Blu Notte: “Tangentopoli”.

Il biennio 1992-1993 aveva poi visto l’avvio di una nuova stagione stragista di stampo mafioso, con gli attentati ai magistrati Falcone e Borsellino, in una clima di profonda sfiducia dell’opinione pubblica verso l’apparato partitico della Prima Repubblica [1]. La difficile situazione economica di inizio decennio e l’avanzare del processo di integrazione europea avevano infatti spinto i fragili governi italiani [2] ad adottare politiche economiche e monetarie di forte impatto sull’economia nazionale, nel tentativo di superare la crisi fiscale e monetaria, e così adempiere ai cosiddetti “parametri di Maastricht” [3] in vista dell’imminente entrata in vigore della moneta unica. 

 

Fu in particolare il settore del mercato del lavoro ad essere segnato da un impegno governativo bipartisan di riforma, tramite lo sviluppo di nuove modalità di regolamentazione dei rapporti contrattuali , la definizione di nuovi parametri per la negoziazione sindacale e il diritto di sciopero, la riforma del sistema pensionistico. L’introduzione di nuovi concetti, quali privatizzazione del pubblico impiego, flessibilità, lavoro interinale, mise inevitabilmente in discussione il modello di welfare e diritti ereditato dalle lotte della Prima Repubblica. Proprio in questo ampio processo di revisione socio-economica si sarebbero inserite le figure di Massimo D’Antona e Marco Biagi, entrambi giuslavoristi e docenti universitari, convocati a Roma in qualità di esperti con il compito di contribuire ai progetti di riforma del mercato del lavoro [4]. Tale dinamica di trasformazione complessiva interessò direttamente la rappresentanza del lavoro, la quale vide l’avvio di un’importante fase di riconversione verso un modello di concertazione nazionale tripartita tra sindacati, governo e Confindustria, con la ricerca di una convergenza di interessi per superare la fase di forte crisi economica nazionale. Un processo tuttavia molto delicato, in cui non mancarono spaccature e contestazioni da parte dalla base operaia, in particolare a partire dalla firma degli accordi sul costo del lavoro del 1992 [5]

La prima pagina de L’Unità dopo la firma degli accordi sul costo del lavoro
La prima pagina de L’Unità dopo la firma degli accordi sul costo del lavoro
e l’avvio della concertazione con il patto del luglio 1993 [6]. Per l’Italia, il nuovo millennio si apriva quindi sotto il segno di forti tensioni politiche e socio-economiche. Gli incerti assetti istituzionali nati dalle ceneri di Tangentopoli furono definitivamente superati con la decisiva vittoria elettorale della coalizione guidata da Silvio Berlusconi nel giugno 2001 e con l’instaurazione del governo più longevo della storia repubblicana. Di fronte alla nuova compagine governativa e al suo ingente progetto di riforme economiche, l’unitarietà inter-sindacale cominciò a mostrare i primi segni di spaccatura [7], mentre nuove battaglie sociali e nuove forme di attivismo politico conquistavano la scena, in particolare con lo sviluppo di quel movimento “No-Global” duramente marchiato dai drammatici avvenimenti del G8 di Genova nel luglio 2001.  

Massimo D’Antona (Corriere.it)
Massimo D’Antona (Corriere.it)
Per complicare il quadro complessivo, alla clamorosa – e tragica – ricomparsa delle Brigate Rosse con l’omicidio di Massimo D’Antona il 20 maggio 1999 a Roma, si aggiunse, nel settembre 2001, l’ingresso sulla scena di un terrorismo di matrice islamico-radicale, in grado di colpire al cuore della potenza egemone statunitense come mai successo prima, e pertanto foriero di grandi mutamenti nell’ordine di sicurezza internazionale [8]. Ancora sconvolta dagli eventi dell’11 settembre e disorientata dal corso dei rivolgimenti epocali in atto, la società italiana avrebbe dovuto però fare presto i conti con un nuovo sanguinoso capitolo della vecchia strategia sovversiva della “stella a cinque punte”, rilanciata dalle Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente (Br-Pcc) la sera del 19 marzo 2002 a Bologna.

 

LA RIPRESA DELL’ATTIVITA’ TERRORISTICA E I SUOI NUOVI CAMPI D’AZIONE

«Attaccare e disarticolare il progetto antiproletario e controrivoluzionario di rimodellazione economico-sociale neocorporativa e di riforma dello stato».

Con queste parole d’ordine si concludeva il documento di rivendicazione dell’omicidio Biagi fatto trapelare il 21 marzo 2002. Per capire come e perché le Br-Pcc decidono di assassinare Marco Biagi, e, prima di lui, Massimo D’Antona, è però necessario fare un passo indietro di qualche anno, e calarsi nel mondo dell’estremismo di sinistra a cavallo tra gli anni Novanta e i primi Duemila.

Dalla fase di immersione al ritorno delle Br-Pcc.

Con gli arresti del 1988 e 1989 seguiti all’omicidio Ruffilli, i brigatisti identificati dagli investigatori vengono tutti condotti in tribunale e quindi incarcerati. Di fatto, l’attività delle Brigate Rosse a fine anni Ottanta si interrompe; il progetto brigatista, per quanto ancora sostenuto dai cosiddetti “irriducibili” in carcere, pare non avere più possibilità di replicarsi. La realtà degli anni Novanta vede il permanere, tuttavia, di reti di militanza che, pur non coincidendo con quelli che in futuro sarebberodivenuti i nuovi nuclei delle Br-Pcc, forniscono probabilmente la matrice  entro cui individui appartenenti in vario modo alla storia della lotta armata incontrano le “nuove leve” dell’antagonismo radicale, trasmettendo e riproducendo l’ultima “tradizione brigatista” [9]. In un più generale contesto dell’ultrasinistra che vede sobbollire, soprattutto nel Nord-Est italiano, istanze neo-marxiste-leniniste di rivolta contro lo Stato e la NATO [10].

L’attentato dinamitardo contro il tribunale di Venezia nel 2001, rivendicato dagli Nta (Vice.com)
L’attentato dinamitardo contro il tribunale di Venezia nel 2001, rivendicato dagli Nta (Vice.com)

Tra queste nuove entità politiche, un ruolo cruciale è giocato dai Nuclei Comunisti Combattenti (Ncc). Formatisi fra Roma e Toscana molto probabilmente a partire da militanti brigatisti “dispersi sul campo” sfuggiti alle indagini, da ex-fiancheggiatori [11] e da nuovi aderenti, sono infatti loro a giocare, secondo le forze inquirenti e vari analisti, un ruolo di cerniera tra le “vecchie” e nuove” Br-Pcc.

Sebbene il dato di una conoscenza personale reciproca tra i membri degli Ncc e i brigatisti in carcere possa essere escluso [12], non può essere negato il fatto che tanto nella scelta dei bersagli e delle modalità di azione quanto nei documenti di rivendicazione, gli Ncc facciano ampio, quando non integrale, ricorso al patrimonio ideologico, strategico, concettuale-lessicale, e organizzativo delle Brigate Rosse [13]. Sono del resto gli stessi “irriducibili”, in un documento datato settembre 2002, a riconoscere gli Ncc come eredi del proprio percorso politico, attestando dal carcere come sia stato proprio «l’agire d’avanguardia dei Nuclei Comunisti Combattenti (Ncc)[…]» a qualificarsi come «scelta fondamentale e dirimente nel dare risoluzione ai nodi politici e alle priorità poste sul piano rivoluzionario, […] e dare adeguata continuità al processo rivoluzionario» [14].

Il dato di una sostanziale “continuità oggettiva” tra Ncc e Br-Pcc, come rivelato dai documenti relativi ai Ncc rinvenuti nel corso delle indagini sugli omicidi Biagi e D’Antona, emerge sia dalla concettualizzazione teoricache dalle linee guida adottate nel corso della ricostruzione della struttura operativa e delle azioni messe a segno dal gruppo. La consapevolezza del proprio ruolo all’interno della cosiddetta “ritirata strategica” [15] del fronte rivoluzionario; la necessità di ricostituzione delle forze rivoluzionarie in un contesto di netto “accerchiamento ” da parte dell’apparato statale e della “borghesia imperialista”; e ancora, il tentativo di coinvolgere i fronti più avanzati del proletariato, con la partecipazione diretta di nuovi candidati ad attività sovversive minori per testarne le qualità e capacità prima di ammetterle nell’Organizzazione [16]. Infine, l’adozione della guerriglia come elemento imprescindibile e irrinunciabile del proprio programma politico, attraverso la ripresa della strategia di “attacco al cuore dello Stato”, basata sull’eliminazione selettiva di figure al centro di processi di evoluzione istituzionale e/o socioeconomica in senso “antiproletario”; un’operazione omicida strutturata secondo la dottrina brigatista dei tre criteri di “centralità, selezione e calibramento” [17]. Sono questi gli elementi principali che caratterizzano la fase di transizione dagli Ncc all’azione della seconda fase delle Br-Pcc nel nuovo millennio.

L’attività iniziale degli Ncc è senza dubbio modesta [18], specialmente se paragonata ai precedenti gruppi armati, e si colloca, come già detto, in un momento storico di graduale riattivazione della sovversione di estrema sinistra. Nondimeno, è nei documenti di rivendicazione dei due attentati dinamitardi messi in atto dagli Ncc – nel 1992 contro la sede romana di Confindustria, e nel 1994 contro la sede del Nato Defence College [19], sempre nella capitale – che possono essere ritrovate in nuce le motivazioni e le analisi che ricompariranno nelle rivendicazioni degli omicidi D’Antona e Biagi. È infatti il processo di riforme del mercato del lavoro cui i due professori contribuiscono ad essere giudicato centrale dai brigatisti: l’avvio della privatizzazione del pubblico impiego, la nuova regolamentazione sul diritto di sciopero, l’introduzione del lavoro interinale e della flessibilità nei contratti di lavoro, per fare alcuni esempi, sono viste come misure essenzialmente antiproletarie, emanazione di una rinnovata iniziativa della “borghesia imperialista” per ridurre ulteriormente il welfare state e i diritti conquistati nelle lotte operaie degli anni Sessanta e Settanta. In questo panorama di “contro-rivoluzione”, un ruolo importante è rivestito, nell’ottica dei Ncc, dal mondo sindacale, accusato di essere compartecipe di tale strategia “antiproletaria” attraverso la sua partecipazione al meccanismo della concertazione. È la materializzazione del cosiddetto “patto-neocorporativo” tra sindacati Confindustria e governo, in cui il mondo sindacale non solo è ritenuto colpevole di collaborare alle politiche economiche restrittive – oggi diremmo di austerity – adottate dai vari esecutivi della “seconda Repubblica”; ma anche, e soprattutto, di depotenziare l’antagonismo di classe e di annullare il conflitto sociale attraverso la ricomposizione forzata della concertazione e del compromesso con le forze statali e padronali, lasciando così mano libera alle politiche di dominio e di sfruttamento della forza lavoro messe in atto dalla  “borghesia imperialista”. La posizione dei Ncc, e quindi delle future Br-Pcc, è netta: questi corpi intermedi, e la CGIL in primis in quanto erede storica delle lotte operaie comuniste, hanno tradito i lavoratori e il proletariato.

L’attività terroristica e di propaganda dei Ncc, pur notata dagli apparati di Pubblica Sicurezza [20], continua sostanzialmente indisturbata nel corso degli anni Novanta, sebbene probabilmente ridotta nelle sue dimensioni per via dell’arresto fortuito di due suoi membri, Luigi Fuccini e Fabio Matteini [21] nel 1995. L’attenzione delle forze investigative è infatti tutta orientata verso quelle che sono considerate le emergenze più immediate di quel periodo:  l’inchiesta Mani Pulite, le stragi di mafia, la riorganizzazione su grande scale della criminalità organizzata. Anche grazie a questo contesto – e alla loro modesta attività eversiva – gli Ncc possono maturare politicamente e logisticamente.

 La notizia dell’attentato a D’Antona, sulla prima pagina de L’Unità, il 21 maggio 1999
La notizia dell’attentato a D’Antona, sulla prima pagina de L’Unità, il 21 maggio 1999
È solo con l’omicidio D’Antona che i brigatisti in nuce si sentono pronti e legittimati a fregiarsi della denominazione di Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente (Br-Pcc) cui corrisponde la validazione degli irriducibili in carcere [22], unici “custodi” di tale sigla e della tradizione politico-militare che la accompagna. 

La ricomparsa delle Br-Pcc, undici anni dopo l’omicidio Ruffilli, è quindi un fulmine a ciel sereno per le forze politiche e per la società civile, che inizialmente faticano a comprendere un tale ritorno della lotta armata, cui si lega il rimaterializzarsi di una minaccia che si credeva ormai relegata al tragico passato degli “anni di piombo”. È anche, però, un segnale per le forze investigative e di pubblica sicurezza riguardo al nuovo ambito in cui la risorta organizzazione brigatista agirà in futuro: il processo di trasformazione del mondo del lavoro e i suoi protagonisti. «Noi ci rendiamo conto di questa minaccia incombente. […] il volantino [di rivendicazione dell’attentato, ndr] rappresenta un progetto di attacco in determinate direzioni ben indicate e che l’attuale forza delle Br-Pcc è limitata, ma comunque capace di piazzare uno o due attentati all’anno» [23].

Un’impressione subitamente confermata dall’apparizione di due altre sigle eversive legate al progetto brigatista [24], operanti nel medesimo alveo. Il 14 maggio 2000, il Nipr (Nucleo di iniziativa proletaria rivoluzionaria) piazza un esplosivo di piccola entità a Roma contro la sede della Commissione studio e vigilanza della normativa antiscioperi presieduta da Gino Giugni – già personalmente colpito dalle Br-Pcc nel 1983.

 L’attentato brigatista a Giugni il 3 maggio 1983
L’attentato brigatista a Giugni il 3 maggio 1983
L’attacco contro l’organo reputato responsabile della “demolizione del diritto di sciopero”, pur causando danni materiali risibili, è rivendicato come parte dell’avvio della propria attività in sostegno al progetto di “ricostruzione delle forze” rivoluzionarie ruotanti intorno alle Br-Pcc [25]. Quindi il 6 luglio 2000, un nuovo attentato, questa volta contro la sede milanese della Cisl, rivendicato dal Nucleo Proletario Rivoluzionario (Npr). L’attentato in realtà non riesce, perché gli esplosivi posizionati nella notte non esplodono e vengono ritrovati la mattina seguente. Tuttavia la rivendicazione è chiara: l’obiettivo dell’attacco è il “Patto per Milano”, un accordo di collaborazione sui temi della collocazione al lavoro tra la giunta di centro-destra del Comune di Milano e alcune sigle sindacali. I tavoli preparatori di tale accordo vedono infatti il confronto tra la giunta meneghina e la Cisl, supportati dalla consulenza tecnica di un rinomato professore dell’Università di Modena e Reggio Emilia: Marco Biagi. Molti dei temi sollevati nella rivendicazione del Npr torneranno significativamente l’anno successivo, all’indomani dell’attentato del 19 marzo 2002: i contratti di formazione-lavoro, le deroghe alla contrattazione collettiva, la precarizzazione del lavoro, l’apprendistato, i contratti di emersione, il lavoro interinale, la fine delle tutele per le categorie dei nuovi occupati [26]. Non a caso, è proprio a seguito di questo fallito attentato che al professor Biagi verrà fornita una scorta a Milano, poi estesa a Modena, Bologna e Roma, seppur in misura non costante. 

Nel 2001, il Nipr compie il suo ultimo attentato, prima di sparire dalla scena per sempre: nella notte tra il 9 e il 10 aprile 2001, un potente esplosivo viene fatto detonare contro la sede dell’Istituto Affari Internazionali (IAI) a Roma, provocando ingenti danni materiali.

 L’attentato del Nipr su La Stampa, 11 aprile 2001
L’attentato del Nipr su La Stampa, 11 aprile 2001
L’attentato è un successo, e dimostra un’importante crescita organizzativa del gruppo; motivo che rende ancora più emblematica la scomparsa di questa sigla eversiva, e più plausibile il suo riassorbimento nell’organizzazione romana delle Br-Pcc. Nella rivendicazione dell’attentato, il Nipr condanna in toto il panorama delle opposizioni politiche e sociali [27]: la lotta armata rappresenterebbe l’unica e vera via per affrontare con successo la nuova dimensione globale della “borghesia imperialista”; solo il progetto delle Br-Pcc sarebbe in grado di dare sostanza, continuità e prospettiva a questo obiettivo. Una condanna delle deviazioni dalla “dottrina rivoluzionaria” quindi, ma anche una sorta di appello ai “veri rivoluzionari”; un invito ad aggregarsi attorno al nucleo brigatista. Di lì a pochi mesi, i militanti brigatisti avrebbero dato il via all’inchiesta su Marco Biagi, ossia alla preparazione tattica del successivo capitolo della propria strategia sovversiva.

PERCHÈ MARCO BIAGI

«Il giorno 19 marzo 2002 a Bologna, un nucleo armato della nostra Organizzazione, ha giustiziato Marco Biagi consulente del ministro del lavoro Maroni, ideatore e promotore delle linee e delle formulazioni legislative di un progetto di rimodellazione della regolazione dello sfruttamento del lavoro salariato, e di ridefinizione tanto delle relazioni neocorporative tra Esecutivo, Confindustria e Sindacato confederale, quanto della funzione della negoziazione neocorporativa in rapporto al nuovo modello di democrazia rappresentativa» [28].

Marco Biagi nasce il 24 novembre 1950 a Bologna, città in cui ha sempre vissuto nonostante i numerosi impegni accademici e professionali. Dopo gli studi universitari in giurisprudenza presso l’Alma Mater Studiorum, esercita la libera docenza in varie istituzioni accademiche fino al 1984, quando vince la cattedra di Diritto del Lavoro e Diritto Sindacale Italiano e Comparato presso la facoltà di Economia dell’Università di Modena.

 Marco Biagi
Marco Biagi

All’attività accademica Marco Biagi affianca un’intensa attività di collaborazione e consulenza professionale con gli uffici governativi. Dal 1995 è consigliere del Ministero del Lavoro Tiziano Treu, durante le fasi di sviluppo del “pacchetto” contenente la regolamentazione della flessibilità lavorativa, in particolare riguardo i contratti a tempo determinato, il lavoro interinale e altre forme contrattuali di lavoro atipico. Nel frattempo matura il suo rapporto di collaborazione con le istituzioni europee già avviato agli inizi degli anni Novanta: nel 1997 è infatti nominato Rappresentante del Governo italiano nel Comitato per l’occupazione e il mercato del lavoro dell’Unione Europea, ricoprendo anche il ruolo di consigliere dell’allora Presidente del Consiglio Romano Prodi. Quindi, l’anno successivo, è nominato Consigliere del Ministro del lavoro Antonio Bassolino – incarico ricoperto in precedenza anche da Massimo D’Antona – e Consigliere del Ministro dei trasporti, Tiziano Treu. Nel 1999 è Vice-Presidente del Comitato per l’occupazione e il mercato del lavoro dell’Unione Europea e Consigliere del Ministro per la Funzione Pubblica. Tra il 1999 e il 2000 si dedicherà a diverse consulenze per gli enti locali di Modena e Milano, in particolare giungendo all’elaborazione del già citato “Patto per Milano”, che attirerà su di sé, come visto, le attenzioni brigatiste. Infine, nel 2001, con l’avvio del governo Berlusconi, diviene consulente del Ministro del Welfare Roberto Maroni

 Il prof. Biagi e l’allora Ministro del Welfare Maroni
Il prof. Biagi e l’allora Ministro del Welfare Maroni
per l’elaborazione delle riforma del mercato del lavoro, mentre accetta l’incarico di Consigliere del Presidente della Commissione Europea, Romano Prodi, e quindi la nomina a componente del Gruppo di alta riflessione sul futuro delle relazioni industriali, istituito dalla Commissione europea [29].

Da questo curriculum emerge un’attività di consulenza assidua, prestata indistintamente dal colore politico dell’amministrazione in carica. Ed è proprio il resoconto puntuale dell’attività del professor Biagi a comparire nel documento di rivendicazione delle Br-Pcc come a giustificazione della scelta del bersaglio della propria azione. L’accusa principale rivolta dai brigatisti al professore bolognese è il suo contributo all’elaborazione prima del “Patto per Milano”, e quindi del “Libro bianco sul mercato del lavoro in Italia”, un documento redatto nel corso del 2001 da Biagi, dal sottosegretario del Ministero del Lavoro Sacconi e altri consulenti, in cui si esponevano le principali aree tematiche di intervento prospettate come prossima attività del governo Berlusconi. Tra i temi principalmente avversati dai brigatisti vi erano, oltre all’ormai consolidata critica alla flessibilizzazione del mercato del lavoro, la teorizzazione dell’abolizione dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori e il nuovo modello di “dialogo sociale”, proposto dal Libro Bianco in sostituzione al modello di concertazione che aveva caratterizzato il decennio precedente. Marco Biagi, agli occhi dei brigatisti è quindi colpevole di «aver avuto un ruolo attivo in una serie di indirizzi legislativi che […] avrebbero portato a nuove e più penalizzanti forme di precariato e sfruttamento dei lavoratori, congegnate in modo tale da distruggere l’identità operaia o lavoratrice e imbrigliare ogni tentativo di ribellione» [30].

 La prima pagina de Il Corriere della Sera
La prima pagina de Il Corriere della Sera
Viene quindi individuato in quanto elemento funzionale di quel “processo contro-rivoluzionario” della “borghesia imperialista” nei cui confronti le Br-Pcc si vedono come unico e imprescindibile contrasto politico-militare. Per i brigatisti, colpire Marco Biagi, «rappresentante delle istanze e persino dei sogni di Confindustria», non vuol dire colpire una persona, un essere umano. Significa, invece, mettere in difficoltà la trattativa tra governo e mondo sindacale sui temi di riforma del mercato del lavoro e dimostrare la presenza di una “opposizione rivoluzionaria” [31]. Significa colpire “una progettualità” tesa “alla costruzione di equilibri politici generali e parziali” tra i vari interessi sociali e politici che attraversano la “borghesia imperialista”. In altre parole, colpire Biagi – come D’Antona e Ruffilli prima di lui – significa colpire quelle figure in grado di trovare la mediazione che, forgiando l’equilibrio tra le diverse spinte della classe dominante – di cui i sindacati ormai sono visti come mero strumento – ne depotenziano le contraddizioni interne e ne mantengono intatto il potere sul “proletariato” [32]

Queste quindi le principali ragioni che guidano il pensiero strategico e tattico dei brigatisti nel corso del 2001, in contemporanea all’elaborazione e pubblicazione del Libro Bianco nell’ottobre di quell’anno. C’è tuttavia un’altra condizione necessaria affinché maturi l’assassinio del professore. Non deve potersi avvalere di servizi di scorta o di altre misure difensive: le ridotte capacità operative delle Br-Pcc non consentirebbero infatti la buona riuscita del piano omicida qualora il professore non fosse indifeso. Tale fondamentale analisi emerge tanto dalle valutazioni delle forze inquirenti sui documenti brigatisti sequestrati nel corso delle indagini [33] quanto alle dichiarazioni in sede processuale di Cinzia Banelli in merito all’attività di “Inchiesta” sul bersaglio condotta nell’autunno-inverno 2001-2002 [34].

La revoca definitiva della scorta nel settembre 2001 a seguito di tagli adottati a livello nazionale, è preceduta da lacune del servizio di tutela già dall’estate di quell’anno. Biagi ritiene che le autorità competenti stiano sottovalutando il pericolo personale da lui corso.

 

La7:  Le lettere di Marco Biagi


I documenti di rivendicazione a firma Npr-Nipr e altri segnali sembrano far sinistramente convergere l’attenzione delle sigle eversive di sinistra sulla sua persona [35]. A tutto ciò vanno aggiunte le molteplici telefonate minatorie ricevute dal professore nel corso dell’estate 2001, in cui l’anonimo interlocutore pare essere sempre aggiornato sulla presenza o meno di agenti a sua tutela [36]. Biagi segnala tutti questi elementi in diverse lettere, tanto alle autorità di pubblica sicurezza di Bologna quanto a personalità istituzionali con cui ha rapporti professionali o di conoscenza [37], chiedendo aiuto nel far sì che il servizio di tutela sia ripristinato in tutte le sedi in cui svolge la propria attività lavorativa, senza però alcun risultato effettivo. La questura di Bologna pare peraltro giudicare infondate le preoccupazioni di Biagi, arrivando a ignorare le pressanti richieste del professore e a negare la possibilità di un incontro col questore [38]. A livello di intelligence centrale l’analisi è invece opposta: il Co.Pa.Co. nella relazione dell’8 marzo 2002 rileva una «decisa ostilità [dei gruppi terroristi e in particolare le Br-Pcc, ndr] nei confronti della compagine governativa per le sue scelte in materia di politica economica […]. Nel mirino dei nuovi interventi offensivi ci sono le personalità politiche, sindacali e imprenditoriali maggiormente impegnate nelle riforme economico-sociali e del mercato del lavoro e, segnatamente, quelle con ruoli chiave in veste di tecnici e consulenti» [39]. Quattro giorni dopo, il Cesis [40] invita i vari ministeri a indicare personale alle proprie dipendenze potenzialmente a rischio. La risposta dal ministero del Welfare arriva solo il 19 marzo, con tre nominativi: il sottosegretario Sacconi, l’avvocato Paolo Sassi e il professor Marco Biagi.

 I rilevamenti della scientifica in Via Valdonica, la sera del 19 marzo (AdnKronos)
I rilevamenti della scientifica in Via Valdonica, la sera del 19 marzo (AdnKronos)
La sera dello stesso giorno, in via Valdonica a Bologna, i militanti delle Br-Pcc Mario Galesi e Roberto Morandi attendono il professore sulla porta di casa. A coprire le spalle degli attentatori ci sono le militanti Nadia Desdemona Lioce, Diana Blefari Melazzi e Cinzia Banelli, con il compito di controllo delle vie adiacenti. Vengono esplosi sei colpi, tanti quanti colpiscono Massimo D’Antona tre anni prima, dalla stessa arma responsabile di quell’omicidio: è la tragica firma delle Br-Pcc. Marco Biagi muore nelle braccia dei soccorritori alle 20:15 del 19 marzo 2002. 

 

LE REAZIONI ALL’ATTENTATO, LE LETTERE DI BIAGI E LE STRUMENTALIZZAZIONI

Immediate sono le reazioni del mondo politico e sociale a quella che ai più pare una tragica ripetizione di quanto accaduto a Massimo D’Antona. Nuove pressioni gravano sulle forze di sicurezza: a tre anni di distanza dal ritorno delle Br-Pcc, nessun brigatista è stato catturato né si sono fatti grandi passi avanti nelle indagini riguardanti la formazione responsabile dell’attentato omicida di Roma. 

 Ritorna il terrorismo. La prima pagina de La Stampa, il 20 marzo 2003
Ritorna il terrorismo. La prima pagina de La Stampa, il 20 marzo 2003
A ciò si aggiungono le incalzanti critiche per la mancata scorta a Marco Biagi, tanto da spingere la procura di Bologna ad aprire un’inchiesta, poi archiviata, per valutare eventuali responsabilità di tale scelta  [41].Ma il contesto attorno cui ruotano le maggiori polemiche e recriminazioni è il mondo del mercato del lavoro e dei sindacati, che già dall’avvio del governo Berlusconi ha visto un aumento significativo della tensione sociale, con la progressiva disgregazione dell’unità sindacale tra Cisl e Uil da un lato, e Cgil dall’altro. Proprio quest’ultima ha infatti autonomamente programmato – da ben prima dell’attentato –  una manifestazione nazionale per il 23 marzo, per protestare contro i disegni governativi in tema di lavoro e contro le proposte legislative contenute nel Libro Bianco. Dato l’attentato, la dirigenza sindacale decide di mantenere l’appuntamento e di sfruttare l’occasione per riconfermare l’impegno del sindacato alla lotta contro il terrorismo e alla difesa dei valori del confronto democratico. Tre milioni di persone sfilano a Roma, animando una delle manifestazioni di piazza più riuscite dei primi anni Duemila. Il messaggio è chiaro e risalta sullo striscione che apre la manifestazione: «Contro il terrorismo, per la democrazia e per l'affermazione dei diritti delle persone».

Ciò nondimeno, la circostanze spingono molti nelle fila del governo e nello schieramento di centro-destra a ipotizzare improbabili legami tra il sindacato, il mondo dell’antagonismo e i terroristi, accusando il segretario della Cgil, Sergio Cofferati, di alimentare un clima sociale favorevole ai terroristi, se non perfino di esserne una sorta di mandante morale: «Biagi era l’uomo chiave del cambiamento. Cofferati e i comunisti sono contro il cambiamento. Gli assassini si propongono come il braccio armato di Cofferati e dei comunisti. Cofferati e i comunisti hanno creato le condizioni perché i terroristi si mettessero a disposizione» [42] «[…]non c’è dubbio che in giro ci sono cattivi maestri che hanno una grande responsabilità nell’assassinio del professor Marco Biagi. Costoro hanno creato il clima nel quale qualcuno si sente evidentemente legittimato a compiere un omicidio» [43].

. La Stampa, 29 giugno 2002
. La Stampa, 29 giugno 2002
A rilanciare le polemiche già infuocate, il 28 giugno 2002, una piccola rivista della sinistra bolognese, Zero in Condotta [44], pubblica cinque lettere scritte da Biagi [45] nei mesi precedenti all’omicidio, subito rilanciate dal quotidiano La Repubblica. Le reazioni politiche sono immediate. Da un lato il segretario della Cigl Cofferati, accusato da Biagi nelle sue lettere di “criminalizzare la sua figura”  [46] e di averlo minacciato – elemento riferitogli “da persona assolutamente attendibile”  [47], l’identità della quale non è però mai stata chiarita – ritorna al centro degli attacchi della compagine governativa, in una fase di forte tensione nel mondo sindacale [48]. Dall’altro, lo stesso governo è scosso nuovamente dalle critiche in merito al mancato rinnovo della scorta al professore – reso ancor più drammatico dall’amarezza e disillusione percepibile dalle missive di Biagi – nonché dalle improvvide dichiarazioni a latere del Ministro dell’Interno Scajola a giornalisti del Corriere della Sera riguardo Biagi e al suo essere «un rompicoglioni che voleva il rinnovo del contratto di consulenza»– esternazioni che poi costringeranno Scajola alle
La Stampa, 28 marzo 2002
La Stampa, 28 marzo 2002
dimissioni. 

In questa nuvola di polemiche, tuttavia, alcuni fatti ben più importanti rimangono senza una chiara interpretazione. Il primo riguarda chi e perché ha prelevato le lettere personali di Biagi dal suo computer, per poi consegnarle a Zero in Condotta. La stessa procura di Bologna, che in quel momento sta indagando sulle responsabilità della mancata scorta, non è infatti al corrente di alcune tra queste lettere [49]. Secondo, chi è la “persona assolutamente attendibile” che informa Biagi delle presunte – e mai riscontrate – minacce di Cofferati nei suoi confronti? Terzo, da dove provengono le telefonate minatorie così sinistramente aggiornate sull’assenza del servizio di scorta che impensieriscono il professor Biagi nei mesi precedenti l’attentato e lo spingono a scrivere alcune tra le lettere pubblicate? Alcuni [50] hanno infatti notato come lo strumento della minaccia telefonica sia del tutto estraneo al modus operandi brigatista, tanto più perché tale fattore avrebbe potuto indurre al rafforzamento del servizio di scorta e quindi a maggiori ostacoli all’esecuzione del proprio piano omicida. Infine, a complicare il quadro si aggiunge uno strano suicidio: il 4 aprile 2002 viene trovato nella sua casa il corpo di Michele Landi, tecnico informatico e consulente di Guardia di Finanza e magistratura, già consultato durante le indagini connesse alla morte di Massimo D’Antona. Una morte sospetta e mai acclarata che secondo molti ha a che fare con l’iniziativa personale del tecnico volta a rintracciare le scie informatiche seminate dagli attentatori di Biagi [51].

 La morte sospetta del perito Michele Landi su La Stampa (7 aprile 2002)
 La morte sospetta del perito Michele Landi su La Stampa (7 aprile 2002)

DAL “GRUPPO BIAGI” ALLA SPARATORIA SUL TRENO: INDAGINI E PROTAGONISTI.

Dato lo scarso avanzamento delle indagini sul caso D’Antona e il clamore per il nuovo attentato portato a termine dalle Br-Pcc, il Ministero dell’Interno approva la formazione di un nucleo investigativo interforze ad hoc, il cosiddetto “Gruppo Investigativo Biagi” [52], dedicato esclusivamente alle investigazioni sul nucleo brigatista e sui diretti responsabili dell’attentato al professore Bologna.

 Le immagini delle telecamere della stazione di Bologna la sera dell’attentato, con indicati i possibili sospetti secondo gli inquirenti (Corriere.it)
Le immagini delle telecamere della stazione di Bologna la sera dell’attentato, con indicati i possibili sospetti secondo gli inquirenti (Corriere.it)
 Le indagini si concentrano su un ampio ventaglio di fonti: riprese video, tabulati telefonici, tracce telematiche: i tecnici informatici riescono a rintracciare alcune schede Sim plausibilmente utilizzate dai terroristi, ma è ancora troppo poco. Il 31 ottobre 2002 viene disposta la prima custodia cautelare nei confronti di Nadia Desdemona Lioce e Mario Galesi per la loro appartenenza alle Br-Pcc, oltre ad alcuni “irriducibili” già in carcere accusati di essere ispiratori del delitto D’Antona – accusa poi smontata [53]. Va detto che su Lioce e Galesi le forze inquirenti avevano già avuto alcuni riscontri negli anni precedenti. La prima è già nota alle forze di pubblica sicurezza toscane per la sua attività in Autonomia Operaia a Pisa nei primi anni Ottanta e per il suo coinvolgimento nelle indagini sull’omicidio di Lando Conti nel 1987 attuato dalle Br-Pcc; nonché per essere compagna di Luigi Fuccini, militante dei Ncc arrestato nel 1995. Nel 1999 il suo nome torna alle cronache direttamente collegato all’omicidio D’Antona: tuttavia su di lei non pesano carichi pendenti con la giustizia fino all’ordinanza cautelare del 2002
Una foto d’archivio di Mario Galesi
Una foto d’archivio di Mario Galesi
[54].Galesi invece, era già stato fermato nel 1986 e oggetto di perquisizioni domiciliari, dalle quali risultava in possesso di armi, munizioni materiali per il confezionamento di ordigni, documentazione e missive interne al mondo della sinistra extra-parlamentare romana. Nel 1997 era poi stato arrestato e quindi l’anno successivo condannato a 4 anni per rapina a mano armata. Tanto Lioce quanto Galesi sono però irreperibili [55]: la prima si dà alla clandestinità fin dall’arresto di Fuccini nel 1995; il secondo, approfittando della concessione degli arresti domiciliari scompare nell’estate 1998. I due sono probabilmente gli unici “militanti complessivi”, ossia in completa clandestinità, delle rinate Br-Pcc. La vera svolta nelle indagini arriva l’anno successivo, ma al di fuori dell’attività degli inquirenti, e, tragicamente, tramite nuove vittime. Il 3 marzo 2003, i brigatisti Mario Galesi e Nadia Desdemona Lioce sono a bordo del treno interregionale Roma-Firenze, quando, per un ordinario controllo da parte di tre agenti della Polfer, vengono loro richiesti i documenti.

Sinistra:La prima pagina dedicata alla sparatoria, La Stampa, 3 marzo 2003. Destra:Le foto identikit di Lioce e Galesi diffusi dagli inquirenti.
Sinistra:La prima pagina dedicata alla sparatoria, La Stampa, 3 marzo 2003. Destra:Le foto identikit di Lioce e Galesi diffusi dagli inquirenti.

Le carte d’identità fornite sono però false: uno degli agenti si insospettisce e al telefono chiede un riscontro alla centrale. Nel giro di qualche secondo Galesi estrae una pistola e la punta al collo del sovrintendente della Polfer Emanuele Petri,mentre Lioce intima agli altri agenti di consegnare le armi.

Il sovrintendente Emanuele Petri
Il sovrintendente Emanuele Petri
Scoppia una colluttazione e vengono esplosi dei colpi: centrato da Galesi, cade a terra senza vita il sovrintendente Petri,mentre l’agente Bruno Fortunato, pur ferito gravemente,  riesce a rispondere al fuoco abbattendo il brigatista – che morirà poco dopo in ospedale. La sicura inserita nella pistola impugnata da Lioce è probabilmente provvidenziale per la vita di Fortunato, mentre  l’agente Giovanni di Fronzo riesce a disarmare Lioce e ad immobilizzarla. Alla stazione di Castiglion Fiorentino sono approntati i soccorsi, e gli inquirenti sequestrano il materiale trasportato dai due brigatisti: in due zaini vengono trovati, tra le altre cose, due computer, floppy disk, telefoni cellulari e schede prepagate, appunti e numeri telefonici, tutti elementi fondamentali per lo sviluppo delle indagini. Gli inquirenti recuperano elementi importanti riguardanti tanto le attività del gruppo eversivo dal 1999 al 2003 – con riferimenti ai precedenti degli Ncc e delle sigle parallele – quanto alcuni indizi in merito ad altre persone coinvolte nell’organizzazione e alla rete di comunicazione tra di esse.

Si passa così alle misure di sorveglianza e pedinamento intorno a persone giudicate sospette [56]. Il 23 ottobre 2003 scatta il primo blitz: a Roma gli inquirenti entrano nell’appartamento in cui Galesi e Lioce vivevano prima della sparatoria sul treno. Viene rinvenuto un contratto d’affitto per un garage nella periferia romana, un probabile deposito-archivio delle Br-Pcc. Seguono a distanza di qualche giorno i primi arresti importanti tra la Toscana e Roma: Roberto Morandi, Cinzia Banelli, Marco Mezzasalma

Marco Mezzasalma a processo (Ansa)
Marco Mezzasalma a processo (Ansa)
e Simone Boccaccini, tutti coinvolti nella preparazione ed esecuzione dell’attentato a Biagi.
Simone Boccaccini
Simone Boccaccini
Un nuovo blitz, il 20 dicembre 2003, porta alla scoperta del covo romano di via Raimondo Montecuccoli 3, e all’arresto, due giorni dopo Diana Blefari Melazzi, dopo che le telecamere l’avevano ripresa nell’atto di trasferire l’archivio e i materiali del nucleo brigatista romano in questo stesso covo. Numerose perquisizioni e fermi si susseguono a cavallo tra il 2003 e il 2004, portando alla luce le reti di supporto al nucleo terroristico diffuse tra Toscana e Lazio. Nonostante tali successi, gli inquirenti sono però consapevoli di essere riusciti ad individuare solo l’80% di tutti i responsabili per gli omicidi di D’Antona e Biagi [57], mentre rimangono ancora latitanti diverse figure del brigatismo, sopravvissute alla repressione degli anni Ottanta: Enzo Calvitti, Simonetta Giorgieri, Carla Vendetti, Guido Minonne e Marcello Dell’Omo Tammaro, il cui coinvolgimento nella rinascita del nuovo nucleo brigatista rimane però da accertare.

Le analisi sui materiali ritrovati nel corso delle indagini e delle perquisizioni aiutano gli investigatori a ricostruire il percorso di rigenerazione del nucleo brigatista a partire dagli Ncc: la continuità politica ma non organizzativa con le Br-Pcc [58]; la sua strutturazione e strategia d’azione attraverso sigle parallele e il processo di reclutamento di nuovi militanti. Significativa è l’analisi della preparazione degli attentati a D’Antona e Biagi, da cui emerge la presenza limitata dei militanti sul territorio [59], concentrata per lo più nella capitale e in alcuni avamposti in Toscana. Dal lavoro preparatorio per l’omicidio Biagi e dai piani di fuga elaborati emerge infatti l’assenza di un supporto ai brigatisti a Bologna, e più in generale in Emilia Romagna [60], tanto che l’intera inchiesta brigatista e l’esecuzione dell’attentato possono definirsi come operazioni “in trasferta” con tutte le complessità logistiche del caso [61]. Peraltro, documenti rinvenuti nelle abitazioni di Mezzasalma e Blefari Melazzi mostrano come il venir meno dei due “militanti complessivi” Lioce e Galesi nel marzo 2003, rappresenti un “colpo disarticolante” per l’Organizzazione, «un sostanziale arretramento politico, militare e organizzativo all’interno del processo di costruzione dell’o.c.c. di un nucleo organizzativo […]» [62], e che tuttavia non può rappresentarne la fine, ma semmai comporta la necessità di una nuova riorganizzazione del nucleo brigatista; un’ulteriore dimostrazione dell’intrinseca fragilità, ma allo stesso tempo della resilienza del progetto delle nuove Br-Pcc. 

Cinzia Banelli
Cinzia Banelli
 

Infine, a corroborare le ricostruzioni degli inquirenti è la testimonianza di Cinzia Banelli, primo membro attivo delle Br-Pcc a collaborare fattivamente con le autorità inquirenti; fenomeno unico nel suo genere, per rapidità e dedizione,nella storia del brigatismo, che finora ha visto piuttosto tormentati casi di dissociazione e di ripensamento critico dalla lotta armata [63]. Arrestata il 24 ottobre 2003 in provincia di Pisa dove viveva, a differenza degli altri brigatisti arrestati non si dichiara prigioniera politica ma si avvale comunque della facoltà di non rispondere. La decisione di collaborare matura solo un volta in carcere, in modo poco chiaro secondo alcuni [64], forse condizionata dal suo essere in attesa di un figlio. Ad ogni modo, la sua collaborazione con la giustizia iniziata nel luglio 2004, contribuisce in modo significativo all’accertamento dei fatti e delle responsabilità in capo a sé stessa e agli altri imputati in qualità di militanti delle Br-Pcc.

LE SENTENZE

In carcere, i brigatisti arrestati si dichiarano prigionieri politici e si rifiutano di collaborare: nessuno sconto di pena per i responsabili degli omicidi D’Antona e Biagi, nonché del sovrintendente Petri. I capi d’imputazione non si limitano peraltro ai soli omicidi: la partecipazione all’attività eversiva in tutte le sue sfumature, dagli aspetti logistici a quelli più prettamente terroristici sono passati al vaglio dai Pubblici Ministeri di Firenze, Arezzo, Bologna e Roma, dove si concentrano i processi ai vari esponenti delle rinate Br-Pcc.

La prima sentenza arriva il 9 giugno 2004, con la condanna all’ergastolo di Nadia Desdemona Lioce per l’assassinio del sovrintendente Petri e il tentato omicidio degli agenti Fortunato e Di Fronzo con l’aggravante del terrorismo; sentenza poi confermata nei successivi gradi di giudizio. Nel frattempo giungono a maturazione le condanne per i due attentati mortali commessi dalle Br-Pcc.

Gli imputati, da sinistra: Lioce, Mezzasalma, Morandi
Gli imputati, da sinistra: Lioce, Mezzasalma, Morandi
Il 1 giugno 2005, La Corte d’Assise di Bologna condanna all’ergastolo Nadia Desdemona Lioce, Roberto Morandi, Marco Mezzasalma, Diana Blefari Melazzi e Simone Boccaccini, per l’omicidio di Marco Biagi, confermate in appello l’anno successivo ad eccezione di Boccaccini, che vede la riduzione a 21 anni di carcere. Quindi, l’8 luglio 2005, la Seconda Corte d’Assise di Roma condanna all’ergastolo Lioce, Morandi e Mezzasalma, per concorso nell’omicidio D’Antona – l’esecutore materiale è infatti individuato in Mario Galesi – nonché per reati di banda armata, rapina e associazione sovversiva. Pene minori sono comminate ad altri militanti per reati che vanno dalla banda armata, ad associazione sovversiva e rapina; tra questi ci sono: Diana Blefari Melazzi
Nadia Lioce a processo
Nadia Lioce a processo
Ulteriori condanne sono poi inflitte a Lioce anche per gli attentati alla sede della Commissione di Garanzia per lo Sciopero, a quella della Cisl di Milano (entrambi effettuati nel 2000) e all'Istituto Affari Internazionali di Roma nel 2001, oltre che per quattro rapine di autofinanziamento realizzate in Toscana, tra il 1998 e il 2003.

Infine, Cinzia Banelli, nonostante la collaborazione, è condannata nel marzo 2005 a 20 anni per l’omicidio D’Antona e a 16 anni per l’omicidio Biagi, poi ridotta di 6 mesi in appello l’anno successivo. Nel giugno 2006 le vengono riconosciute le attenuanti per la collaborazione fornita agli inquirenti in relazione al caso D’Antona, con una riduzione di pena a 12 anni di carcere. Per l’omicidio Biagi, una riduzione di pena arriverà solo nel 2008, e quindi l’anno successivo la concessione agli arresti domiciliari.

Lioce e gli altri brigatisti stanno ancora scontando le proprie condanne all’ergastolo in regime di carcere duro. Diana Blefari Melazzi, già provata psichicamente dal regime di 41bis, il 31 ottobre 2009 si suicida nella sua cella nel carcere di Rebibbia dopo aver avuto notizia della condanna definitiva all’ergastolo. Il 10 aprile 2010, infine, un altro suicidio: l’agente della Polfer Bruno Fortunato decide di togliersi la vita. Il 2 marzo 2003, sul treno interregionale 2034 Roma-Firenze, aveva visto morire il collega Petri e si era difeso dai colpi a lui sparati da Galesi uccidendo a sua volta il brigatista. Un’esperienza forte, traumatica. Un tragico colpo di coda nella storia delle nuove Br-Pcc.

 

 


Note

1. Una sfiducia sancita emblematicamente dal risultato referendario del 1993, con il quale gli elettori si espressero  a favore dell’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti e per l’introduzione di meccanismi elettorali di stampo maggioritario per Camera e Senato.

2. Dal 1992 al 2001 si contano 8 governi, tra i cui premier spiccano un Silvio Berlusconi in forte ascesa politica  e Massimo D’Alema, primo Presidente del Consiglio a provenire dalle file dell’ormai disciolto PCI.

3. Con questa espressione si indicano generalmente i requisiti macroeconomici e finanziari necessari per l’ingresso alla nascente Unione Europea, stabiliti dal Trattato sull’Unione Europea siglato a Maastricht nel 1992.

4. Per una panoramica dei concetti e dei temi sviluppati dai due studiosi si vedano a titolo d’esempio, Massimo D’Antona, Il lavoro delle riforme. Scritti 1996-1999, Editori Riuniti, Roma, 2000; il “Libro Bianco sul mercato del lavoro in Italia. Proposte per una società attiva e per un lavoro di qualità” redatto da un gruppo di lavoro coordinato da Maurizio Sacconi e Marco Biagi nell’ottobre 2001; e Alessandra Servidori, “Dal libro bianco alla Legge Biagi: come cambia il lavoro”, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2004.

5. Cfr. Gianni Cipriani, Brigate rosse. La minaccia del nuovo terrorismo, Sperling & Kupfer, Milano, 2004, pp. 35-37.

6. Il 23 luglio 1993 viene firmato il protocollo tra i sindacati Cgil, Cisl e Uil, la Confindustria e il Governo Ciampi sulla politica dei redditi e dell'occupazione, sugli assetti contrattuali, sulle politiche del lavoro e sul sostegno al sistema produttivo.

7. La CGIL, in particolare, impegnatasi a mobilitare i propri militanti contro la proposta governativa di riforma dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, si oppose alla firma del “Patto per l’Italia” promosso dal governo e avallato da Cisl e Uil.

8. Conseguenze dell’11 settembre che avrebbero avviato la cosiddetta War on terror, cui anche l’Italia guidata da Berlusconi decise di dare il proprio contributo nelle missioni in Afghanistan e poi in Iraq.

9. Cfr. Luigi Manconi, Terroristi italiani. Le brigate rosse e la guerra totale 1970-2008, Rizzoli, Milano, 2008, pp. 209-211.

10. Tra i più attivi vanno ricordate le “Brigate Rosse del Triveneto”, che, in un momento di più ampio dibattito circa l’adesione italiana all’intervento NATO nei Balcani, si resero responsabili di vari attentati, seppur di modesta entità e mai direttamente contro persone. Cfr. Otello Lupacchini, Il ritorno delle Brigate Rosse. Una sanguinosa illusione, Koinè Nuove Edizioni, Roma, 2005, pp. 41-45.

Peraltro, la natura organizzativa e le modalità operative delle “Brigate Rosse del Triveneto” non sono rigorosamente ispirate all’impostazione militarista clandestina delle Br-Pcc, rappresentandone semmai una deviazione, come palesato dalle critiche provenienti dai brigatisti in carcere. A riguardo si veda: Ganni Cipriani, op. cit., pp. 73-84.

Nel medesimo contesto storico, diversi attentati sono rivendicati dai Nuclei Territoriali Antimperialisti (NTA), cfr. Otello Lupacchini, op. cit., pp. 41-45; e Gianni Cipriani, op. cit., pp. 80-84. Un gruppo, tuttavia, sui cui membri e attività sono emersi riscontri che collocano gli Nta ben al di fuori della “galassia” brigatista, fino a riconsiderarne l’operato come una mera messa in scena. Si veda Luigi Manconi, op. cit., pp. 269-271, e la ricostruzione di Valentina Avol, “Nuclei territoriali antimperialisti, chi era costui?”, Diario, 5 maggio 2012, accessibile qui http://valentinavon.tumblr.com/post/19285694275/nuclei-territoriali-antimperialisti-chi-era

11. Cfr. Gianni Cipriani, op. cit., pp. 120-121. Interessante anche l’analisi fatta dagli organi di polizia all’indomani dell’omicidio D’Antona riguardo all’eventualità che «le strade dei militanti dei Ncc e delle Br-Pcc potessero essersi intersecate o, forse, unite», in Otello Lupacchini, op. cit., p. 56.

12. Otello Lupacchini, op. cit., pp. 38-39.

13. Si veda in particolare Gianni Cipriani, op. cit., pp. 43-55.

14. Il documento è firmato dai militanti Br-Pcc: Maria Cappello, Tiziana Cherubini, Franco Grilli, Flavio Lori, Fabio Ravalli e dalla militante rivoluzionaria Vincenza Vaccaro. Stralci del documento in questione sono riportati in Gianni Cipriani, op. cit., pp. 51-52.

15. Con “ritirata strategica” si intende una fase della “guerra rivoluzionaria” iniziata nel 1982, all’indomani dell’ondata di arresti seguita al rapimento del generale Dozier, che decimò l’organizzazione brigatista. La “ritirata” però non comporta un ripiegamento generale e una sospensione dell’attività; al contrario, a partire dal nuovo dato di debolezza dell’organizzazione brigatista, essa comporta una generale riorganizzazione della guerriglia al fine di proseguire l’attacco alle politiche antiproletarie e imperialiste con la minor dispersione possibile di forze rivoluzionarie. È in questo contesto che giungerà a piena maturazione la tattica degli omicidi selettivi, che come un lungo colpo di coda degli “anni di piombo”, produrrà ancora lungo gli anni ‘80 e ‘90 gli attentati mortali contro Hunt, Tarantelli, Conti, Giorgieri, Ruffilli e D’Antona. Cfr. Gianni Cipriani, op. cit., pp. 24-33.

16. Cfr. Luigi Manconi, op. cit., pp. 265-267.

17. Nella tradizione brigatista, l’attuazione un omicidio selettivo dipende: dall’individuazione del progetto politico anti-proletario giudicato centrale in un dato momento storico; dalla selezione all’interno di tale progetto di una figura importante, la cui uccisione può portare alla conclusione, o perlomeno all’indebolimento (o “disarticolazione”) del progetto anti-proletario centrale; e dalla capacità di calibrare l’attacco contro tale bersaglio sulla base delle forze a disposizione dell’organizzazione. Cfr. Gianni Cipriani, op. cit. p. 49.

18. Per un elenco sintetico degli eventi collegati all’attività dei Ncc negli anni Novanta si veda: Daniele Biacchessi, L’ultima bicicletta, il delitto Biagi, Mursia, Milano, 2003, pp. 53-56.

19. Cfr. Gianni Cipriani, op. cit., pp. 40-43 e 53-54.

20. Si veda Otello Lupacchini, op. cit., pp 73-75, e Daniele Biacchessi, L’ultima bicicletta, cit., pp. 46-48.

21. Luigi Fuccini e Fabio Matteini sono arrestati perché alla guida di un motorino rubato, probabilmente durante un sopralluogo per una rapina di auto-finanziamento. Agli agenti si dichiarano prigionieri politici e militanti dei Ncc; nelle loro abitazioni viene trovato diverso materiale e documentazione relativi all’attività del gruppo. L’arresto spingerà Nadia Desdemona Lioce, compagna di Fucini, ad entrare definitivamente in clandestinità, nonostante in quel momento non sia ancora oggetto di misure cautelari. Cfr. Gianni Cipriani, op. cit., pp. 60-61.

22. Cfr. Otello Lupacchini, op. cit., pp. 62-63 e Gianni Cipriani, op. cit., pp. 142-143.

23. Dalla relazione di Ansoino Andreassi, ex responsabile della Direzione di Polizia e di Prevenzione, in commissione stragi, il 1 dicembre 1999. In Daniele Biacchessi, L’ultima bicicletta, cit., p. 62.

24. Non è ancora chiaro se Nipr e Npr abbiano avuto una propria vita autonoma a livello organizzativo e poi siano confluiti nelle Br-Pcc, o se abbiano invece agito fin dall’inizio come sigle parallele del nucleo brigatista e da esso dirette a scopi di propaganda verso potenziali candidati brigatisti, nonché come sede di verifica delle loro capacità e credenziali rivoluzionarie. Cfr. Gianni Cipriani, op. cit. cap. 5; Daniele Biacchessi, Una stella a cinque punte, Baldini Castoldi Dalai Editore, Milano, 2007, pp. 67-70; Luigi Manconi, op.cit., pp. 265-267.

25. Gianni Cipriani, op. cit., pp. 146-147.

26. Ibidem, pp. 172-173. Sergio D’Antoni, all’epoca segretario generale Cisl, dirà a proposito della rivendicazione: «in queste pagine c’è, con un linguaggio di addetti ai lavori, un’analisi puntuale, folle, ma puntuale. Sono persone evidentemente ben informate sul nostro dibattito, sui rapporti confederali», in Giorgio Galli, Piombo Rosso. La storia completa della storia armata in Italia dal 1970 a oggi, Baldini Castoldi Dalai, Milano, 2007.

27. La rivendicazione del Nipr colpisce, infatti, tanto il pacifico ed eterogeneo movimento “No-Global” da un lato, quanto, dall’altro, il mondo antagonista, per il suo “spontaneismo” e la mancanza di rigore rivoluzionario.

28. Dal documento di rivendicazione delle Br-Pcc.

29. Per una biografia più estesa si veda la pagina dedicata sul sito della Fondazione Universitaria Marco Biagi, http://www.fmb.unimore.it/on-line/home/fmb/fondazione/marco-biagi.html

30. Cfr. Gianni Cipriani, op. cit., p. 228.

31. Cfr. Otello Lupacchini, op. cit., p. 226-227.

32. Cfr. Luigi Manconi, op. cit., pp. 238-239.

33. Cfr. Otello Lupacchini, op. cit., p. 147

34. Cfr. Gianni Cipriani, op. cit., pp. 267-270. Alcuni stralci dell’inchiesta brigatista sono riportati in Daniele Biacchessi, Una stella a cinque punte, cit., pp. 113-116.

35. Si fa riferimento all’attacco al “Patto per Milano” da parte del Npr nel 2000 (enfatizzato nuovamente nella rivendicazione del Nipr dell’attentato allo IAI dell’aprile 2001). Ancora nel 2000, era emersa l’esplicita condanna della ristrutturazione del modello aziendale Zanussi-Electrolux, di cui Biagi era stato partecipe. Ristrutturazione che vien condannata anche nella rivendicazione di un attentato dei Nta all’Ice di Trieste, e che spinge le stesse forze inquirenti a individuare manager e sindacalisti del gruppo Zanussi-Electrolux come soggetti a rischio. Nuovi volantini sono poi rinvenuti nell’estate 2001, tutti contenenti espliciti attacchi al “patto neocorporativo” e al modello di lavoro interinale, mentre in agosto un comunicato firmato Br-Pcc annuncia la “ripresa dell’attacco rivoluzionario”. Cfr. Otello Lupacchini, op. cit., p. 133; Gianni Cipriani, op. cit., p. 261.

36. Gianni Cipriani, op. cit., p. 263.

37. Tra questi il ministro Roberto Maroni, il Presidente della Camera Pieferdinando Casini, il sottosegretario al lavoro Maurizio Sacconi, al direttore generale di Confindustria. Cfr. Daniele Biacchessi, Una stella a cinque punte, cit., pp.81-86 e Otello Lupacchini, op. cit, pp. 136-136.

38. Cfr. Gianni Cipriani, op. cit., p. 264.

39. Relazione del Comitato Parlamentare di Controllo sui servizi di sicurezza alla Presidenza del Consiglio, 8 marzo 2002; riportata in Otello Lupacchini, op. cit., p. 135.

40. Il Comitato Esecutivo per i Servizi di Informazione e Sicurezza (Cesis) è stato un organo di coordinamento dei servizi segreti italiani, in attività dal 1978 fino alla riforma dell'intelligence italiana del 2007.

41. L’inchiesta, pur rilevando le gravi responsabilità del prefetto e del questore di Bologna in merito alla mancata concessione della scorta, si risolverà senza nessuna accusa formale. Per una ricostruzione dettagliata circa l’archiviazione dell’inchiesta si veda Otello Lupacchini, op. cit., pp. 146-157.

42. Dichiarazioni dell’avvocato Taormina, in Giorgio Galli, Piombo Rosso. La storia completa della storia armata in Italia dal 1970 a oggi, Baldini Castoldi Dalai, Milano, 2007, p. 333.;

43. Dichiarazioni del sottosegretario al ministero del lavoro Sacconi, in Giorgio Galli, op. cit., p. 333.

44. Direttore della rivista è un ex-operaio, Valerio Monteventi, attivista di sinistra ed ex consigliere comunale a Bologna. Monteventi dichiara di ricevere le lettere da “un bolognese molto vicino alla famiglia”, sebbene a posteriori riconoscerà l’ingenuità nella decisione di pubblicarle.

45. Come già ricordato, il testo delle lettere è riportato in Daniele Biacchessi, Una stella a cinque punte, cit., pp. 82-86. Si veda anche Otello Lupacchini, op. cit., pp. 136-139.

46. 15 luglio 2001, lettera a Pierferdinando Casini, Presidente della Camera dei Deputati. Cfr. Otello Lupacchini, op. cit. p. 138.

47. 2 luglio 2001, lettera a Stefano Parisi, Direttore generale di Confindustria: «…Vorrei continuare a fare le cose che mi piacciono ma non vorrei che le minacce di Cofferati (riferitemi da persona assolutamente attendibile) nei miei confronti venissero strumentalizzate da qualche criminale», ivi, p. 137.

48. È proprio l’estate 2002 in cui matura la forte rottura tra Cgil da un lato, Cisl, Uil e altre sigle dall’altro, riguardo alla firma del “Patto per l’Italia” promosso dal governo. La Cgil infatti rifiuta l’accordo trovandosi però in difficoltà, mentre la figura del suo segretario è indebolita dalla polemica seguita all’attentato brigatista. Cfr. Giorgio Galli, op. cit., pp. 349-357.

49. Cfr. Otello Lupacchini, op. cit. p.140.

50. Cfr. Gianni Cipriani, op. cit., pp. 262-263. Si veda anche Giorgio Galli, op. cit., p. 362.

51. Si veda in proposito: Giorgio Galli, op. cit., pp. 340-348; Daniele Biacchessi, L’ultima bicicletta, cit., pp. 117-133. Si veda anche l’articolo di Antonella Beccaria, Michele Landi, storia di un suicidio controversohttp://antonella.beccaria.org/2010/10/11/michele-landi-storia-di-un-suicidio-controverso/

52. A proposito si veda: Daniele Biacchessi, Una stella a cinque punte, cit., pp. 89-108. Per un resoconto delle indagini in chiave narrativa si veda anche: Maurizio Dianese, Codice 955: l’inchiesta impossibile sull’omicidio Biagi, Nuova Dimensione, Portogruaro, 2005.

53. Cfr. Otello Lupacchini, op. cit., pp. 178-181.

54. Un articolo di Repubblica del 3 giugno 1999, titolato “Nome in codice Desdemona” tratteggia la figura e la passata militanza di Lioce, ricollegandola a una persona vista sulla scena del delitto D’Antona da alcuni testimoni. Cfr. Giorgio Galli, op. cit., pp. 318-319. L’articolo è disponibile qui:http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1999/06/03/nome-in-codice-desdemona.html?ref=search

55. Cfr. Otello Lupacchini, op. cit., pp. 183-188.

56. Cfr. Daniele Biacchessi, Una stella a cinque punte, cit., pp. 110-124.

57. Cfr. Ibidem, pp. 133-135.

58. In un documento di dibattito interno all’organizzazione del 2001, Lioce annotava: «Noi storicamente non siamo le Br-Pcc, ma gli Ncc […] le Br-Pcc appartengono al proletariato, sono state il suo strumento politico-organizzativo e la classe vi si riconosce, per cui anche la non appartenenza politico-organizzativa dà un diritto-dovere di riprendere il cammino». E ancora: «grazie ai documenti usciti dal carcere, che sono stati la nostra base formativa e costruttiva in modo quasi esclusivo, noi ci siamo attivati e costituiti a cielo aperto, senza cioè un legame organizzativo ma solo politico; non bidirezionale ma unidirezionale, dal momento che non c’è mai stato scambio politico che non fossero altro che i reciproci documenti pubblici, peraltro utili nella loro relatività (ritardi, etc)». In Otello Lupacchini, op. cit., p. 221.

59. Cfr. Gianni Cipriani, op. cit., p. 335.

60. Cfr. Daniele Biacchessi, Una stella a cinque punte, cit., pp. 134-135.

61. Cfr. Gianni Cipriani, op. cit., pp. 270-274.

62. Il documento è emblematicamente intitolato “Impostazione del riadeguamento politico e organizzativo alle nuove condizioni dell’O.”, in Otello Lupacchini, op. cit., pp. 230-231.

63. La posizione della Banelli all’interno dell’organizzazione era peraltro stata già messa in dubbio dai vertici brigatisti per via della sua inaffidabilità e per la  mancata partecipazione a una rapina di autofinanziamento, fatto che aveva comportato l’istruzione di una sorta di processo e di procedura d’espulsione nei suoi confronti – elementi ritrovati nelle carte di Lioce e Galesi recuperate dopo la sparatoria sul treno del marzo 2003. Cfr. Gianni Cipriani, op. cit., pp. 333-334.

64. Cfr. Otello Lupacchini, op. cit., p. 265.