L'Emilia-Romagna di fronte alla violenza politica e al terrorismo:
storia, didattica, memoria

La tragedia di Aldo Moro: la difesa della democrazia negli anni di piombo

La tragedia di Aldo Moro: la difesa della democrazia negli anni di piombo

Una volta esauritasi la cosiddetta “strategia della tensione” alla metà degli anni ‘70, l’impegno civico per la difesa delle istituzioni democratiche continua sotto forma di contrasto alla violenza politica di matrice “rossa”, che è divenuta lungo la seconda metà del decennio il principale agente sovversivo nel Paese, in ragione soprattutto dell’offensiva brigatista.

Le azioni più sanguinose legate al radicalismo d’estrema sinistra lasciano un profondo segno nella comunità forlivese che si mantiene costantemente mobilitata nell’ottica di contribuire all’arginamento di un fenomeno così potenzialmente distruttivo. In questo senso, il truce rapimento (16 marzo 1978), la lunga prigionia e l’omicidio (9 maggio 1978) del leader democristiano – e Presidente della Repubblica in pectore – Aldo Moro si pongono come un autentico spartiacque nella coscienza della città.

Emblema dell’anima dialogante del partito di governo, lo statista di Maglie incarna difatti una delle poche speranze politiche di riforma e di apertura modernizzatrice rispetto ad un quadro sistemico da troppo tempo bloccato ed involuto.

Nel corso dei 55 giorni del sequestro, la popolazione forlivese organizza svariate manifestazioni, spesso spontanee, e tiene aperti tavoli di confronti pubblico sulla natura e sulla portata dei drammatici avvenimenti in corso: alla notizia dell’assassinio di Moro, la tensione popolare evolve in una possente reazione legalitaria volta a chiudere definitivamente la stagione del terrorismo nell’Italia repubblicana, annullando ogni residuo margine sociale di contiguità, di velato supporto e finanche di mera indifferenza nei confronti della lotta armata.